Regia di Nigel Finch vedi scheda film
Ultimo film di N. Finch, morto di Aids poco prima che uscisse in sala, Stonewall è un discreto prodotto assolutamente mainstream nella concezione estetica e nella struttura, un sapido e tutto sommato piacevole omaggio storico e dai barlumi di umorismo british ad un avvenimento cardine per la lotta degli omosessuali alla discriminazione, la rivolta dopo l'ennesima retata da parte della polizia, una lunga serie di repressioni e abusi pretestuosi, alimentati solo da pregiudizi e soprattutto mere insofferenze e ipocrisie.
Un film medio (dal libro di Martin Duberman) ma in senso comunque dignitoso, dallo stile capace di parlare a tutti in modo diretto ma senza troppe banalità dal punto di vista ideologico e stilistico, il quale pur non brillando per originalità, riesce a trovare momenti validi nell'alternanza tra ironia e drammaticità, tra siparietti musicali ben diretti, una narrazione agile con personaggi abbastanza variegati e alcune inquadrature azzeccate.
Come ricostruzione storica però si lascia trasportare un po' troppo dai compromessi dello spettacolo. A tale proposito, per brevità, riporto le note della rispettiva scheda su Wikipedia:
L'opera contiene qualche «licenza poetica» o errore storico, fra cui i seguenti.
Il «sip-in», cioè la bevuta di protesta con giornalisti al seguito, si svolse nel 1966 (non 1969) e non arrivò allo Stonewall inn, perché gli alcolici non furono serviti liberamente in tutti i bar come nel film, ma furono rifiutati al Julius. Il film sostiene la versione secondo cui la morte di Judy Garland sarebbe stata uno dei motivi dello scoppio della rivolta, mentre la storia è più complessa[1]. Nel finale è Bostonia a colpire per prima un poliziotto con un pugno mentre sta per essere caricata sul cellulare, ma non si sa chi effettivamente iniziò la protesta e come[1].
Buone interpretazioni, in primis da parte di G. Diaz (il travestito LaMiranda). Interessante e accattivante il personaggio tormentato di Vinnie (Bruce MacVittie).
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