Regia di Kathryn Bigelow vedi scheda film
Nel luglio del 1967 la città di Detroit fu teatro di scontri accesi e prolungati tra la popolazione di colore e le forze dell'ordine. La segregazione su base razziale era ancora dura a morire, Malcolm X era stato assassinato appena due anni prima e i diritti civili per i neri erano un'idea non facile da inculcare nella testa dei bianchi. In quello stesso mese, nell'hotel Algiers, due ragazzine bianche e sei neri passano la serata in allegria quando la polizia di Detroit fa irruzione con metodi che farebbero quasi rimpiangere Bolzaneto. Tra torture, umiliazioni e brutalità di ogni genere, ci scappano anche i morti. I tre principali responsabili, aiutati dall'ignavia quasi senza eccezioni degli uomini dell'esercito, vanno a processo. Vietato lo spoiler sull'esito di quest'ultimo.
Sono ormai 15 anni che Katryn Bigelow ha imboccato la strada dell'impegno civile e del racconto della storia americana, lasciandosi alle spalle prodotti di genere (Blue steel, Point break, Strange days, Il mistero dell'acqua). Qui siamo stilisticamente a metà strada tra il riuscitissimo The hurt locker e il ripetitivo Zero Dark Thirty: Detroit è un film di durata fluviale (quasi due ore e mezza) con un lunghissimo prologo (accompagnato da molte immagini di repertorio), un intermezzo che è il nucleo del film capace di tenere ottimamente la tensione, e un epilogo da dramma giudiziario davvero troppo frettoloso. Meritevolissimo sul piano dei contenuti - una metafora sulla nuova ondata razzista dell'era Trump - il film pecca su quello della struttura, alla quale avrebbe giovato un taglio netto nella mezz'ora iniziale.
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