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L'albero del vicino

Regia di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson vedi scheda film

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La recensione su L'albero del vicino

di supadany
7 stelle

Venezia 74 – Orizzonti.

In una società schizofrenica, sempre più abituata a guardare di traverso il prossimo e meno propensa all’ascolto, privata anche delle principali nozioni colloquiali, un’incomprensione qualunque può dare il via a un processo distruttivo inarrestabile.

Eppure, basterebbe levarsi di dosso quel paraocchi chiamato odio, che trasforma ogni evento come fosse una maledetta lente deformante, per non rovinarsi con le proprie mani.

Dopo essere stato cacciato dalla moglie per un tradimento, Atli deve tornare a casa dei suoi genitori.

Arrivato da loro trova una situazione completamente fuori controllo. Infatti, i loro vicini vorrebbero che tagliassero un albero ingombrante, senza però ottenere alcun risultato.

Nasce così una diatriba che alcuni inquietanti segnali, come le gomme dell’auto tagliate, conducono direttamente in un’escalation di cattiverie reciproche, almeno presunte, senza fine.

 

Sigurður Sigurjónsson

Under the Tree (2017): Sigurður Sigurjónsson

 

Anche nella tranquilla e compassata Islanda i nervi sono a fior di pelle. Basta un banale oggetto del contendere, com’è a tutti gli effetti un albero da potare, per far deflagrare un jeu de massacre dagli effetti devastanti.

Per dirla tutta, Under the tree ci mette un po’ a ingranare, dovendo smaltire una seconda direttiva, oltre lo scontro portante tra due famiglie borghesi al quale non manca nulla, che vede in primo piano le vicissitudini del maldestro Atli, condannato dall’assurda moda di registrare e conservare anche i video più compromettenti.

Il suo rimane in ogni caso un viatico di scarso interesse, un complemento da affiancare che produce effetti modesti, mentre la portata principale è totalmente di segno opposto, prendendo forma da donne rancorose che mandano in avanscoperta i loro uomini considerati dei smidollati quando semplicemente faticano a capire cosa stia succedendo.

È così che un dramma d’ordinanza si trasforma in un thriller disperato e sedimentato sui legami più comuni, con punte nerissime di amarezza e bocconi di black humour incanalati sull’incomprensione, sull’essere duri di comprendonio e quindi su tutti quei comportamenti assurdi che prendono il sopravvento alla prima difficoltà.

D’altronde, cercare di capire gli altri sembra un’usanza depennata dal manuale della buona convivenza, l’acidità va per la maggiore e ad ogni azione corrisponde una reazione contraria e d’intensità maggiorata, dando il là a una vera e propria catena senza soste, come se il confronto fosse tra un cane e un gatto che non hanno mai imparato a stare insieme (esempio non casuale dato che i due animali sono loro malgrado pedine centrali).

In questa modulazione, il regista Haffsteinn Gunnar Sigursson dimostra di avere del fegato e inserisce una serie di idee propedeutiche alla massima espressione della cattiveria umana, ma soprattutto presta attenzione a cosa mostrare e cosa no, lasciando parecchi avvenimenti senza un chiaro colpevole, insinuando dubbi che i protagonisti non prendono nemmeno in vaga considerazione.

Proprio questo espediente finisce per caratterizzare in maniera inequivocabile l’opera e permette di collocare la ciliegina sulla torta, in virtù di un sentore di tragedia che può portare solo a una punizione capitale, tra chi finisce con il pagare il prezzo più caro e chi non potrà che sopravvivere con il senso di colpa, sempre che quest’ultimo riesca a farsi largo nella più totale aridità affettiva.

Con un po’ di pazienza, ma l’effetto è deflagrante.

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