Regia di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson vedi scheda film
Non importa ciò che è giusto. Ciò che conta è far del male. E non pentirsene.
Certezze. Abbiamo bisogno di costruircele, per poter agire. Anche se, di solito, seguiamo il percorso contrario, scegliendo prima ciò che abbiamo voglia di fare. La legittimazione è l’alibi a posteriori, il motivo che si confonde con il fine. Ed è a suon di questi cortocircuiti che la nostra realtà si crea, per poi crescere, e quindi giungere a compimento. Una storia può sorgere, passo dopo passo, sul filo del sospetto, intessendo collegamenti di comodo tra cause e effetti, su cui innestare al meglio l’auspicato prosieguo del romanzo. Se ti odio, dentro di me ti rendo colpevole, per poterti far del male a ragion veduta. E se ti odio, è solo perché credo che tu odi me. Sei tu il primo ad essere cattivo, mi devo difendere e, all’occasione, vendicare. La mia follia si misura su quanto, in ciò, sia frutto della mia immaginazione, piegata al mio desiderio di dare forma concreta alle mie ossessioni. Tutto può nascere da un dolore mai superato, da un’assurda speranza mai accantonata. E, un giorno, un po’ per caso, può appoggiarsi ad un albero del mio giardino. Sentirsi dire, dalla nuova vicina, che i suoi rami fanno troppa ombra, potrebbe davvero essere lo spunto per un’offesa, per un rifiuto che dia avvio ad una giusta guerra. Quel che segue è illogico, perché è una concatenazione di reazioni incoerenti ad azioni inventate: ma, prima o poi, finisce per imporre la sua regola alla vita vera, diventandone il filo conduttore. È la dannazione venuta dal nulla che va fino in fondo, distruggendo ogni cosa, per poi sparire per sempre dal mondo. Questo film islandese ci ricorda che il male non è affatto banale: è invece intriso di pensiero perverso e originale, una pianta parassita che fiorisce nella mente, avvinghiata alla sofferenza dell’anima, per strangolarne i lamenti e costringerla a rigurgitare i rospi ingoiati, i germogli delle sue battaglie represse. Futile è solo il dettaglio che sceglie come seme: parte da una qualunque zolla di terra smossa, fosse anche solo per errore. L’equivoco le è connaturale, perché anche lei è un evento sporadico e deviante dell’esistenza, un incidente di percorso che rivendica il suo potere su di noi. Qualcuno direbbe che la sua evoluzione è solo l’effetto della nostra contorta psicologia, dei suoi impercettibili moti che, alla lunga, riescono a smuovere le montagne scatenando catastrofi. Una valanga prodotta da una serie di piccoli inciampi, di sbandamenti di poca importanza. Ma la parte principale spetta invece alla nostra volontà, che procede diritta e sicura, che punta al bersaglio, che prende bene la mira. E che, pur zigzagando, sa esattamente cosa cercare: una disperazione definitiva e totale, che trionfi sul dubbio, e sgomberi il campo da ogni rimorso.
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