Regia di Antonio Piazza, Fabio Grassadonia vedi scheda film
Un film bellissimo, portatore di una potente e originale idea di cinema.
In contemporanea con l’apertura a Cannes 70 della Semaine de la Critique, arriva nelle sale Sicilian Ghost Story secondo film della coppia di autori Fabio Grassadonia e Antonio Piazza che proprio a Cannes nel 2013 vinsero il Grand Prix de la Semaine de la Critique e il Prix Révélation con il bellissimo Salvo.
Sicilian Ghost Story, montato dal reggiano Cristiano Travaglioli – già montatore per Paolo Sorrentino da Il Divo in poi - è una cupa favola triste sospesa tra realismo e sogno, ispirata ad una delle pagine più nere delle storie di mafia che hanno insanguinato il nostro paese. Il rapimento e i 779 giorni di cattività di Giuseppe di Matteo, figlio di un collaboratore di giustizia, da parte degli uomini di Cosa Nostra. Il ragazzo fu poi barbaramente ucciso a sangue freddo e sciolto nell’acido per cancellarne ogni memoria facendone un fantasma, senza passato e senza futuro. Un fatto che ha colpito molto i due autori, figli di quella terra siciliana lordata da barbarie simili, che hanno sentito il bisogno di restituire dignità a una vita così giovane violentata da uomini senza umanità.
Protagonisti due ragazzini, entrambi per la prima volta sullo schermo, interpreti di Giuseppe (Gaetano Fernandez) e Luna (Julia Jedlikowska), la giovane compagna di classe della quale egli è innamorato ricambiato. Dopo il primo timido bacio che dovrebbe sancire l’inizio di un tenero sentimento, Giuseppe scompare. Luna, non credendo alle storie rassicuranti che sente in giro, comincia a cercarlo. Se la storia di Giuseppe nel film è ispirata a fatti veri, il personaggio di Luna è fittizio e ha il compito di far collidere il mondo del sogno nel quale è intrappolato il fantasma di Giuseppe con il mondo reale. Il sentimento dei due ragazzi provoca lo strappo che consente alla ragazza di avvertire la presenza del suo giovane amore.
Ne viene fuori un racconto senza tempo, sospeso in un onirismo brutalizzato da una verità ancorata alle ancestrali leggi di una terra irrorata di menzogne e omertà.
I boschi e i corsi d’acqua sono ritratti come i luoghi incantati delle fiabe nei quali si potrebbe incontrare l’orco o la fata, dove i sogni acquistano un peso e la verità incontrovertibile della natura filtra dai rami degli alberi come ossigeno. Verità e bellezza contrapposte alla brutale menzogna delle case abusive, del degrado di manufatti abbandonati nei quali si consuma il pasto degli orchi, degli sguardi di adulti innervati di colpa.
A collegare i due mondi, gestiti con due registri registici differenti come il genere fantasy e il melò, sono i simboli che gli autori disseminano come indizi di un gioco di ruolo drammaticamente reale. L’acqua, simbolo di rinascita e portatrice di vita, è l’elemento che apre e idealmente chiude una storia circolare di amore-morte-resurrezione. L’uso dei colori – il blu dei barili di acido, i capelli del pupazzo di Giuseppe, la busta da lettere, i capelli di Luna e il rosso del cappotto dei due ragazzi in fuga nel bosco – che consente allo sguardo di agganciare architetture sensoriali dalle prospettive profonde, punti di collegamento di un destino atroce e porte di fuga da una realtà demente.
Nella fiaba gotica di Sicilian ghost story, i due registi lavorano sulla percezione degli eventi più che sulla loro effettiva realtà. Il punto di vista di Luna impasta i piani onirico/reale in un unico piano percettivo, creando per lo spettatore che guarda quell’ambiguità necessaria a confondere il reale e il fantastico. Scorrono sullo schermo personaggi archetipici delle fiabe – la madre anaffettiva sembra la matrigna di Cenerentola – gli animali sono personaggi della selva “oscura”, magica, nella quale sembra veder fuggire dal lupo un cappuccetto rosso senza scampo.
Sicilian Ghost Story è ottimo film portatore di un’idea di cinema potente e originale, degno di aprire – come nessun altro film italiano in passato – la Semaine de la Critique.
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