Regia di Carla Simón vedi scheda film
Una bambina si reinventa la vita. Una vita che è solo sua.
Il mondo, dentro Frida, affonda. Si tuffa nei suoi occhi scuri, restando intrappolato nel suo fremente stupore. Fuori resta il vuoto del presente. Il paesaggio è pieno di un’assenza improvvisa e definitiva, quella di una giovane madre morta per un’infezione polmonare dovuta alla sindrome da immunodeficienza acquisita. Tutti i colori vengono da Frida, è lei la luce, lei la musica silente che fa da controcanto ad un’estate di cui gli adulti non capiscono la singolare bellezza. Ritrovarsi soli è come rinascere. Un parto doloroso in cui ogni cosa è oggetto di una nuova scoperta, sofferta ed emozionante. In mezzo allo sgomento dei grandi, la piccola Frida è la fantasia che si aggira come un’intrusa, giocando con la realtà, per svelarne tutte le insulse debolezze. Innanzitutto, le schiavitù inutili ed immaginarie, dalle quali si salva soltanto chi è abbandonato a se stesso, senza più radici né punti di riferimento, se non quello di una famiglia che è tale solo per la legge. Affidata agli zii, desiderata dai nonni, quella bambina mantiene nell’anima la convinzione di un amore diverso, ultraterreno ed eterno, in cui volersi bene è una fede che trascende la vita, perché resta saldamente ancorata al cuore. Di fronte a quella che, oggettivamente, è una perdita incolmabile, Frida non cerca rimedi, né alternative. Coltiva, per sé, la libera continuazione di un rapporto che le riserva misteriose gioie e dolori, e le ispira di volta in volta bontà o cattiveria, secondo una logica slegata dagli eventi. Il film autobiografico di Carla Simón - giovane regista barcellonese – fa della memoria personale il ritratto in movimento di una percezione intima e segreta, sempre sfuggente, perché vista dall’esterno, dalla parte di chi non può capire. Carla-Frida appare a noi come la custode di una ricchezza inafferrabile, che risucchia dall’universo circostante i significati più stravaganti ed esclusivi e, alla fine, ne risplende con maliziosa magia. La prospettiva del racconto è generosamente girata a favore degli altri, di quelli che intorno a lei si affannano premurosi ed impotenti, prigionieri del dovere di compassione e generosità, ma incapaci di cogliere la forza genuina e pulsante della sua combattiva curiosità, della sua creativa inquietudine. Un diario nascosto mostra a noi solo il volto intrigante della sua copertina: un aspetto che lascia indovinare pagine scarabocchiate con cura e serietà di intenti. Con la genuina diligenza di una mano infantile che traccia arabeschi nel cielo, per rileggerli quando, a distanza di anni, il loro senso sarà sfumato in un indecifrabile incanto.
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