Regia di Dominique Abel, Fiona Gordon, Bruno Romy vedi scheda film
Piacevolmente demenziale, “L’Iceberg” ha l’ardire di voler provare a mettere molta carne al fuoco (cosa che, dato il glaciale titolo, crea un ossimoro sintomatico di buon coraggio...). L’operazione è sostanzialmente riuscita, anche se a volte lascia un po’ perplessi e titubanti nel farsi un’opinione, complice (anche) una durata “coraggiosa” per uno di quei film pressoché muti, fondati tutti sull’espressività dei personaggi, sulla personalità/dote degli interpreti e sulla perpetuazione della sospensione degli eventi volta a ricercare un non-ritmo che avvolga lo spettatore nei criteri di una logica volutamente rinnegata ed esclusa.
Un film nel filone di quel cinema freddo/freddissimo alla Kaurismaki, ma che a me ha molto rimandato (forse la leggera somiglianza del lungocrinato Phlippe Martz con un potenzialmente giovane Gerard Depardieu) al divertentissimo “Mammuth” girato nel 2010 da Benoît Delépine. Dunque di nuovo Francia, ma Francia del Nord, Francia Continentale e non Mediterranea, Francia fredda e paleolitica, primordiale, ancestrale, cui la passionalità serve in realtà solo ad abbattere la temperatura del sentimentalismo qualunque, nel tentativo di ricreare quel (non)senso del ridicolo venoso che si alterna (di ritorno) all’umano, sanguigno viaggiare attraverso le arterie dei desideri così spesso inspiegabili.
Inspiegabili, se non così.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta