Un professore di liceo (Battiston) che spiega la storia ai suoi studenti attraverso i film, una prostituta svampita (D'Amico), un elettricista bonario (Amendola), un fotografo avvezzo ai cannabinoidi (Argentero) e una faccendiera (Bobulova), tutti in cerca di un'occasione di riscatto, vanno a girare un film in Armenia. Ma qui scoppia una guerra, il sedicente produttore che li ha spediti laggiù (Ragno) sparisce con i fondi europei che ha preso per l'operazione e i cinque si ritrovano intrappolati, insieme alla loro guida - una punk incinta (Shulha) -, in un hotel armeno in mezzo al nulla. Intorno a loro soltanto neve. Ma qui riusciranno a trasformare la disavventura in un'opportunità.
Già aiuto regista di Caligari per Non essere cattivo, di Mainetti per Lo chiamavano Jeeg Robot e di Edoardo Leo per Noi e la Giulia, il torinese Simone Spada esordisce con un film che parte come un'hoax story e si trasforma in una fiaba sulla fabbrica dei sogni eretta da un'armata Brancaleone di outsiders. Un'opera memore della lezione di Melies, con momenti di autentica poesia (da applausi le scenografie di Luisa Iemma e i costumi di Elena Minesso) e un finale - proprio sui titoli di coda - da standing ovation. Un'opera che - nonostante qualche artificiosità di troppo nei dialoghi, spesso alla ricerca dell'effetto - si dimostra capace di raccontare con leggerezza e intelligenza come una crisi, fin dal senso etimologico della parola, possa tramutarsi in un'occasione per inventarsi una vita diversa e cominciare, forse, a essere felici.
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