Regia di Antonio Morabito vedi scheda film
Intenso dramma umano e sociale. Bravi Giallini e Santamaria.
L'incipit di "Rimetti a noi i nostri debiti" è un’esplicita metafora. Sullo sfondo dei titoli di testa, Franco, alias Marco Giallini, fa jogging lungo i sentieri di un cimitero, poi saluta la moglie, accompagna i figli a una scuola privata cattolica e si reca in banca per "acquisire" i debiti insoluti, da una solerte impiegata. A seguire conosciamo Guido, alias Claudio Santamaria, magazziniere sottopagato e umiliato, licenziato in tronco per un’inezia, da un “padrone” cinico; lui è o per meglio dire era, un informatico, che ha dovuto arrangiarsi, dopo il fallimento dell'azienda, senza moglie, né figli e parenti stretti e pieno di debiti; solo, se non fosse per l'amicizia con un vecchio professore in pensione, un vedovo, affettuoso e saggio, di specchiata moralità, suo vicino di casa. Guido è un uomo sconfitto dalla vita, completamente allo sbando; in balia di una spietata società di recupero crediti che inizia a vessarlo sempre più insistentemente, fino a mandargli degli esattori energici e risoluti che lo pestano selvaggiamente; in preda alla disperazione, decide di passare dall’altra parte, lavorando come riscossore per quella stessa azienda, che compra i debiti insoluti delle banche, ciò finché il suo, non sarà estinto.
E’ così che entra in scena Franco, maestro indiscusso del recupero crediti, fa da tutor a Guido, lo affianca per insegnargli i segreti di tale particolare mestiere, lui si sente un vincente, un uomo di successo , rispettabile e rispettato; Franco si definisce un Beep Beep e giudica Guido come un Willy il coyote, che viene costantemente turlupinato e beffeggiato. Inizia così una sorta di apprendistato. Franco gli racconta che sette anni prima si trovava nella sua stessa situazione, ma ora invece di fare "un lavoro del cazzo" svolge "un cazzo di lavoro", che gli permette di vivere agiatamente, in una bella casa, con un'auto lussuosa e con una famiglia felice
Guido impara ben presto il "mestiere": seguire e perseguitare i debitori pubblicamente, mortificandoli in tutti i modi, o addirittura picchiandoli ,quando occorre, indossando delle finte toghe con la scritta sulle spalle "recupero crediti": una tragica farsa, in una società dove ciò che conta è quanto sei solvibile, dove, come afferma Franco, non ci sono "persone ma solo debitori" e urla a Guido, in una delle scene finali, "che siamo tutti morti, perché tutti debitori".
Film di un pessimismo estremo, il regista Morabito spinge in avanti il concetto del sociologo Bauman e della sua società liquida in cui l'economia è l'unico punto fermo e non esistono più valori morali ed etici. Tutto e tutti hanno un prezzo.
Guido estingue il proprio debito, e siccome ci ha preso gusto continua a svolgere il suo lavoro, che lo gratifica allorquando si tratta di riscuotere da imprenditori arroganti, come il suo ex datore di lavoro, ma poi però ci sono i veri poveri, coloro che non riescono ad arrivare alla fine del mese, disoccupati debitori che non hanno nulla, oppure pensionati che campano con pochi euro, ma anche con costoro occorre la stessa cinica disumanità e Guido comincia ad avvertire le prime resistenze; un debitore sopraffatto dalla vergogna, si suicida davanti ai due gettandosi nella tromba delle scale. L’incontro sorprendente, con il buon professore anche lui insolvente, mette una pietra tombale su questa squallida attività di riscossione, Guido realizza appieno l’orrore che sta compiendo, gesti violenti, che non ammettono pietismi o compassione. Franco si arrabbia, gli ha insegnato tutto, lo ha inserito magnificamente in questo lavoro magari anche “sporco” , ma qualcuno lo deve pur fare, e introdotto perfino nella sua famiglia e lui lo ripaga con il disprezzo! Il verso della preghiera del Padre Nostro, "rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori", è ciò che Franco recita ogni giorno come penitenza dopo essersi confessato e che chiude la storia, mentre Guido, racconta ciò che la miseria lo ha fatto diventare, a Rina, una giovane donna immigrata che lavora nel bar in cui lui si rifugia, della quale l'uomo è innamorato, che ascolta indignata la confessione laica di Guido ,ma non gli concede il perdono e lo abbandona al suo destino, ritornando al suo paese d'origine. Scritto insieme ad Amedeo Pagani, il film crudo e brutale racconta di una società smarrita, un cupo dramma di denuncia che affoga nelle torbide acque del disagio economico e sociale. Il racconto gioca le sue carte migliori , sospendendo i due protagonisti, in una terra di mezzo, a cavallo tra un’attitudine istintiva alla moralità e all’opposto la tentazione diabolica della violazione di quell’etica; il senso è nella contrapposizione tra i due protagonisti, all’inizio complementari, in cui la morale di Guido tentenna e scivola nella violenza disperata, mentre di contro c’è la crudeltà ponderata e irriducibile del collaboratore prima, ma antagonista dopo, Franco, maschera di un senso di colpa sempre più pesante.
La suggestiva fotografia di Duccio Cimatti, usa una luce tenue e pastosa, in cui il nero e il blu predominano con illuminazioni artificiali; la scenografia è fatta di interni spogli, quelli del bar dove Guido si rifugia; o da esterni notturni, illuminati con fasci di luce orizzontali, oppure diurni con un cielo plumbeo. Anche la colonna sonora di Andrea Guerra ha tonalità cupe, e musiche sacre. Morabito, alterna campi medi in esterno e pochi, primi piani negli interni, con movimenti della macchina da presa controllati, con un montaggio narrativo serrato e sobrio.
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