Regia di Antonio Morabito vedi scheda film
Cicero pro domo sua.
E cosa dovrebbe aver a che vedere Cicerone con il film in oggetto? Lui poco, ma la sua frase si, e lo vedremo a breve.
Incappo casualmente su questo intrigante titolo scorrendo tra le varie offerte Netflix. Non conosco il regista, però una rapida “escursione” sul sito e in rete è sufficiente a convincermi. Il tema è di certo stuzzicante, ma è il finale che mi riserverà la sorpresa migliore (e che giustificherà la locuzione ciceroniana). Demandando, come solito, la trama alla scheda di filmtv (dove peraltro non vi è cenno del “velato” finale che, essendo appunto velato, non è facilmente riconoscibile al primo sguardo), volgo l’attenzione direttamente sui contenuti incentrati su situazioni di “furbi” che interpretano i “tonti”, alternati a situazioni di poveracci (a volte non sempre avveduti nei bilanci famigliari) che interpretano i furbi, oppure, ancora di furbi a interpretare loro stessi. Nelle suddette categorie, oltre agli involontari (loro malgrado) “clienti”, rientrano altresì i due “esattori” rappresentati da Franco (Marco Giallini) e Guido (Claudio Santamaria), il primo in qualità di incallito ed esperto maestro di vita (talvolta leggermente sopra le righe) nei confronti del secondo al quale è riservata la parte dello sprovveduto (e, talvolta, forse un pochino stolto). Il Franco proposto dalla regia ricopre un ruolo dominante che, se per l'immagine a lui riservata è certamente congeniale, risulta in parte eccessivo quando, in contrasto con il suo modus operandi risoluto e determinato (peraltro volto a forgiare l’apprendista Guido), lo vediamo paradossalmente in chiesa assoggettarsi a solitarie e poco credibili confessioni con tanto di successive ipocrite preghiere di penitenza.
Guido, per contro, persona geneticamente onesta, evidenzia un’altrettanto eccessiva ingenuità (leggi stupidità) che in un perito informatico appare davvero difficile da credere; e non a caso si “brucia” le potenziali possibilità di successo con la trasparente (e, a dire il vero, seducente) figura della giovane barista con la quale era riuscito a instaurare un discreto rapporto di fiducia. Gli altri personaggi sono quasi tutti “furbi” all’italiana; furbi attraverso i quali troviamo disseminati qua e là pochi ma autentici poveri emarginati (a volte per malasorte e altre volte, come sopra accennato, per loro congenita dissennatezza). E proprio ai furbi vengono rivolte le non sempre immacolate (peraltro efficaci e meritate) rappresaglie dei due esattori. Ma è nel corso di una di queste intimidazioni che letteralmente vedo il primo “muto” colpo di scena.
Rimetti a noi i nostri debiti (2018): Jerzy Stuhr
Ultime sequenze: i due “esattori”, con tanto di toga “recupero crediti”, bivaccano in un cimitero in attesa di un debitore quando, tra una chiacchiera e l’altra, Guido incrocia “il professore” (anziano vicino di casa e amico di vecchia data) intento a sistemare fiori sulla tomba della moglie. Dapprima non capisce e non collega l’incontro, ma, trascorsi pochi secondi, sente Franco ingiungere perentoriamente al prof di rimborsare il “malloppo” concesso dalla banca e mai rimborsato fin dalla prima rata! E lo spettatore che, come Guido, aveva in precedenza avuto modo di conoscere il prof in virtù dei pregressi dialoghi, mai nutrirebbe dubbi su quest’ultimo. L’impressione che ne aveva ricavato era stata ottima, e la sua gli era parsa una sincera benevolenza confortata da un’altrettanto sincera onestà.
Guido quindi, allibito, incredulo e indignato nei confronti di Franco, straccia il documento estinguendo in tal modo il debito (che nel frattempo il prof, rispondendo alle domande, aveva appena rivelato di aver richiesto allo scopo di far fronte alle cure per la moglie malata e poi deceduta) provocando così un alterco in mezzo alle tombe tra lui e il suo mentore. E qui abbiamo il primo input a ravvivare il finale: la mdp sta effettuando movimentate riprese a mano nel corso della lite quando… si sofferma due o tre secondi su una lapide dietro ai due; tanto quanto basta per poter leggere l’incisione con nome e date di nascita e morte. Nessun commento, né verbàle né scritto, solo il nome: tal Cicikov! Oh bella, grande citazione. E chi è costui? Pavel Ivanovic Cicikov mi risulta essere il protagonista del romanzo russo del XIX secolo “Le Anime Morte” di NikolaJ Gogol! Anche qui tralascio la trama (gli interessati potranno scoprirla autonomamente) ma, escludendo che tale tomba (il personaggio è peraltro immaginario) possa trovarsi in un cimitero italiano, collego tosto le azioni del buon Cicikov con le altre dei “furbi” di turno, quelli che intascano il prestito premeditando di non rimborsarlo, però giocano tranquillamente a golf raggiungendo il green a bordo di grossi suv non propriamente da indigenti. E da qui ecco la locuzione che, se nell’orazione del retore romano poteva avere una sua giustificata logicità, nel corso dei secoli è stata adattata (e adottata) anche per i furbi. Quindi Cicikov pro domo sua ci azzecca a puntino con una sola differenza: Cicerone mirava a ritornare in possesso della sua casa sul Palatino, mentre Cicikov e i suoi compari nostrani miravano (e mirano) più prosaicamente alle loro tasche. In breve, al di là delle caratterizzazioni relative ai due esattori (e le poche altre figure più o meno oneste), ecco che il film, grazie all'intelligente citazione gogoliana, sottolinea e si concentra sull’egoismo (a volte ipocrita) dilagante in natura e coevo dei sapiens. Questi infatti, dal loro esordio, sono i portatori a "macchia di leopardo" del gene su tutto il pianeta. Talvolta in maniera meno delinquenziale (Franco ne è esempio, sicuramente anche lui mosso da fini egoistici ma esente da complotti criminali), altre volte con estorsioni o ladrocini orditi al mero scopo di pervenire ad agi e ricchezze attraverso spregiudicati espedienti messi in atto a danno di questa o quella attività o persona o ente (nel caso di Cicikov, ai danni dello Stato; nel caso dei furbi in oggetto, a danno delle banche).
Ma, al pari dei “furbi” del film, anche l’epilogo del protagonista de’ “Le Anime Morte” non sarà dei migliori (anche se, come ben sappiamo, purtroppo nella raltà non sempre finisce così).
E il secondo colpo di scena? Anche questa una chicca per stupire lo spettatore. Una vera agnizione quando, negli ultimi fotogrammi, vediamo il buon prof, - quello che fino a poco prima ci inteneriva con il suo fare da povero e generoso bonaccione – tutto felice e in ghingheri mentre gioca a bigliardo nel suo salotto. Il furbone è riuscito a infinocchiare tutti, Guido, la banca e noi. E per di più, a differenza degli altri - Cicikov compreso - il vecchio filibustiere se la sta spassando con il debito estinto e i soldini in tasca. Aveva ragione Franco, magari un po’ cinico e un po' ipocrita ma, dobbiamo ammetterlo, un lungimirante volpone!
Tra le peculiarità dell'opera, d'obbligo evidenziare una fotografia cupa e accattivante supportata dalla colonna sonora particolare e coinvolgente grazie all'azzeccato ed eufonico connubio tra canto e immagini.
Per il pippus almeno tre stelle e mezza, balzate però a quattro con gli azzeccati e intelligenti (e velati) coup de teatre degli ultimi minuti. Non un capolavoro ma senza dubbio consigliabile.
Rimetti a noi i nostri debiti (2018): Marco Giallini, Claudio Santamaria, Antonio Morabito
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Probabilmente è un risultato migliore di quanto io avrei potuto immaginare sulla scia de "Il venditore di medicine" che è l'unica opera che ho visionato di Morabito sicuramente un regista non banale. Il suo riferimento ispirativo rimanda con evidenza totale al cinema di Krzysztof Kieślowski difficile non solo da eguagliare, ma anche da imitare (lo si evince anche dalla scelta di alcuni nomi del cast secondario che provengono proprio dalla filmografia di questo eccellente regista polacco scomparso prematuramente nel 1996: Non avendo visionato l'opera mi fermo necessariamente qui ma i due colpi di scena finali (oggettivamente di difficile rilevazione almeno a quanto mi sembra di capire dalla tua recensione) sono (li interpreto così ma potrei anche sbagliarmi) una dotta (compiaciuta?) metafora per dare spessore all'opera e mostrare così le proprie conoscenze cultural indubbiamente superiori alla media.
Si, ho letto in merito, e riconosciuto di conseguenza anch'io, le "ispirazioni al cinema di Kieślowski ( pur avendo visto solo due film di quest'ultimo). Per contro non ho visto altre opere di Morabito per cui mi è impossibile fare confronti.
Al riguardo dei due colpi di scena finali, devo innanzitutto precisare che solo il primo, in veste di dotta e forse compiaciuta metafora (comunque azzeccata) risulta essere di non facile individuazione (per puro caso a me è capitato di conoscere e disquisire il testo di Gogol in tempi recenti), mentre non è così per il secondo che, pur lasciando piuttosto sbigottito lo spettatore, risulta del tutto evidente attraverso le sole esplicite immagini proposte. Ciao Valerio, a presto.
Per il secondo colpo di scena si può allora assegnare il totale merito a un regista che a questo punto credo meriti attenzione per come potrà svilupparsi in seguito la sua carriera
Mah, presumo di sì. Questo suo film perlomeno parrebbe non essere male e, se ti capitasse di poter accedere a Netflix, potresti poi esprimere una valutazione tu stesso.
i coup de teatre ho visto che ti hanno colpito....in modo positivo,un po' meno a me che vidi il film tempo fa.....pero' non in modo negativo,ho dato due stelle e mezza con qualche critica nel commento breve che significa sufficente.
....anche se devo ammettere che ultimamente le commedie prodotte da noi sono dure da digerire ....esempio NON CI RESTA CHE IL CRIMINE,dei tre fatti salvo appena appena il primo,quelli dopo stendo un velo pietoso...comunque Paolo leggerti e' sempre un piacere...
PS...dello stesso regista prendendo spunto da Valerio mi era davvero piaciuto IL VENDITORE DI MEDICINE...insomma non male...
Eh, io invece ho visto solo questo e, come ho scritto a Vale, mi mancano gli altri. Probabilmente ho apprezzato in particolare l'oggetto della citazione con i negativi risvolti impliciti nelle interazioni umane, sia pregresse che contemporanee. Ciao Ezio, e grazie per l'attenzione.
Penso che Morabito abbia voluto veramente esprimere i concetti e i giudizi che Pippus in primis e Spopola poi hanno dato su questo film, di non facile digestione, come dice giustamente Ezio. Lo vedo ben inserito nel panorama della nostra produzione di questo decennio, grazie alla "felice" scelta degli interpreti, Marco Giallini in testa, e qualche stellina la assegnerei anche a Santamaria. Le atmosfere cupe, la musica e la storia seria, tutta da meditare, mi riportano inevitabilmente a quelle del maestro Kieslowski, del quale ricordo "La doppia vita di Veronica".
Caro Antonio, a quanto scrivi, penso che tu ti sia ben "immedesimato" nelle tematiche del film che, in ultima analisi, sono da sempre collaterali alle interazioni tra le persone, più che mai nell'odierna società.
A presto.
La doppia vita di Veronica con la deliziosa Irene Jacob
Tardivamente, mi aggrego ai commenti di elogio nei confronti della tua disamina, caro Paolo!
Sottile e minuzioso, attento a indizi minimi e capace di procedere verso la sostanza dell’opera passando per un elegante accesso secondario.
Leggerti è sempre un piacere.
Troppo gentile Francesco. Bella quella dell'"accesso secondario" (e il tuo averlo notato rimarca la stessa "eleganza":-). Mi fa piacere che tu abbia apprezzato questa mia opinione piuttosto alternativa. Com' è stato un piacere anche leggere il tuo commento dato che (come per te) essendo meno assidua la mia presenza sul sito, conseguentemente anche le possibilità di interazione risultano ridotte.
Un abbraccio.
Che dire recensione magnifica, alta cucina, la tua scrittura fluida è fenomenale, per me sei un genio !!!!
Grazie Claudio, mi fa piacere tu abbia apprezzato la recensione su questa particolare opera (forse non convenzionale ma su temi, purtroppo, mai fuori moda). Sulla cucina, temo che mia moglie non sia dello stesso tuo parere, sigh:-), quanto al genio vado sul sicuro e ti garantisco che potrei semmai imitare quello di Aladino:-). Buon anno con gran saluto.
Buon Anno a te Pippus
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