Regia di José Antonio de la Loma vedi scheda film
Un bel film, girato nel ’64, periodo di decadenza fisica e artistica di Totò, in cui il principe della risata rimane comunque una maschera spassosa. Non le solite gag, né l’istrionismo del suo periodo d’oro, meno fisicità ma anche meno smalto dei tempi migliori, ma comunque un’interpretazione che vale il prezzo del biglietto. Da semplice cameriere emigrato in Inghilterra, Toto diventa prima agente segreto e, dopo peripezie molto divertenti in cui viene aiutato dalla fortuna, ma anche dall’arguzia di eterno scugnizzo, Toto finisce per diventare grande industriale nella sua Napoli.
Il film è atipico per Totò: il periodo, la regia, la produzione, scorpora la figura dell’immarcescibile attore napoletano dal suo contesto usuale per calarlo in una dimensione altra: da napoletano intriso d’arte d’arrangiarsi e malinconia latente che nel Sud Italia interpreta personaggi macchiettistici e funambolici, Totò diviene qui un arguto (e fortunato) emigrato che si fa da solo (paradossale che un “self made man” la faccia in barba agli americani sempre alla ricerca del loro “american dream”); che viaggia in giro per il mondo, che sfugge ad attentati, che organizza il colpo finale per arricchirsi depistando in un sol colpo inglesi, americani e russi.
Nonostante sia un film non impeccabile, artisticamente parlando, questo “Totò d’Arabia” è comunque un film divertente, che si lascia guardare ed a cui va dato atto di aver cercato con grandissimo coraggio di “utilizzare” il personaggio Totò in una dimensione alternativa, preludio, forse, della grande chiusura nel cinema drammatico di Pasolini.
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