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120 battiti al minuto

Regia di Robin Campillo vedi scheda film

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La recensione su 120 battiti al minuto

di laulilla
8 stelle

L’offerta di “storie vere” non è mai stata così ricca: in Tv, su Internet, sui giornali e sui rotocalchi non si parla che di “storie vere”. Chi ama il cinema, però, si aspetta una verità diversa da quella dell’informazione e delle cronache e ricorda, con Magritte, che l’immagine di una pipa n’est pas une pipe!

Quando leggo sullo schermo che sto vedendo “una storia vera, vorrei uscire dalla sala. L’offerta di “storie vere” non è mai stata così ricca: in Tv, su Internet, sui giornali e sui rotocalchi non si parla che di “storie vere”. Chi ama il cinema, però, si aspetta una verità diversa da quella dell’informazione e delle cronache e ricorda, con Magritte, che l’immagine di una pipa n’est pas une pipe!
Anche questa, dunque, è “una storia vera”, ma l’espressione abusata non basta a spiegare  il caloroso consenso seguito alla proiezione di Cannes, la commozione di Almodovar e il prestigioso Gran Premio della Giuria, ottenuto dal regista, il franco-marocchino Robin Campillo alla sua terza opera. Si tratta di un film che evoca una realtà filtrata dalla memoria: quella degli anni ’90 a Parigi, quando Mitterand, socialista ma non troppo, era al governo e si muoveva fra le mille ipocrisie di chi vorrebbe non scontentare nessuno, mentre cresceva la delusione e il dissenso di ampie fasce della popolazione. L’AIDS, che aveva cominciato a diffondersi in Europa negli anni ’80, era ancora una malattia sconosciuta e “maledetta”, e minacciava anche a Parigi la vita di migliaia di giovani, mentre le case farmaceutiche francesi speculavano sulla loro pelle, tenendosi lontane dalla ricerca e dalla sperimentazione, ma continuando a produrre inutili farmaci  sintomatici o palliativi.
In questo contesto avevano vissuto la loro tragica storia d’amore Sean e Nathan, due giovani gay interpretati, rispettivamente, da Nahuel Pérez Biscayart e da Arnaud Valois.
Sean aveva solo ventotto anni, era sieropositivo e si distingueva per il coraggio lucido attraverso il quale manifestava la propria volontà di vivere. Era fra i più ascoltati e anche discussi esponenti dell’Act Up-Paris*, l’associazione di sieropositivi attraverso la quale egli riusciva a promuovere alcune clamorose e provocatorie iniziative per informare, con la  massima visibilità. l’opinione pubblica della possibilità di prevenire l’AIDS: la distribuzione di preservativi nelle scuole, la sistemazione di un gigantesco profilattico sull’Obelisco di Place Concorde, la colorazione della Senna con finto sangue…
Nathan, da poco a Parigi, era entrato nell’Act-Up per trovare amici e gli si era avvicinato, attratto dalla sua vitalità appassionata e dalle sue posizioni di radicale intransigenza. Così era iniziata la loro storia, senza prospettive, poiché si facevano sempre più precarie le condizioni di salute di Sean. Nonostante ciò il loro rapporto era stato  gioiosamente passionale e profondamente tenero: Sean era attento a proteggerlo dal contagio e Nathan si sarebbe prodigato per rendergli meno dure le sofferenze nei momenti difficili della malattia e dello sconforto, fino all’estremo aiuto, per permettergli di morire con dignità e dolcezza, risparmiandogli ogni altro inutile strazio.

 

 

 

 

 

Il mélò, che parrebbe dietro l’angolo, è evitato grazie alla prodigiosa capacità evocativa del regista, a cui riesce quasi miracolosamente di prendere le giuste distanze dalle emozioni che avevano un tempo coinvolto anche lui, colorando di ironia dolce e indulgente, e persino di gioia,  quella storia lontana su cui si è ormai posata la polvere del tempo, evocata a sua volta dalla bellissima e durissima metafora delle ceneri di Sean che avvolgono in una nuvola bianca i dirigenti delle case farmaceutiche e il loro sontuoso banchetto offerto ai ragazzi del Act Up-Paris in segno di conciliazione. Da vedere, tenendo presente che il film è durissimo ed è stato vietato, in Italia, ai minori di 14 anni.

 

___________________________

* L’associazione era simile a quelle sorte in numerose città negli Stati Uniti: si proponeva di diventare il più importante punto di riferimento dei malati siero-positivi e delle loro famiglie,
L’Act Up-Paris era nato come strumento di lotta contro l’ inaccettabile disinformazione, tollerata dalle autorità politiche e assecondata dalle industrie dei farmaci, a parole solidali con le richieste dei malati.

 

 

 

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Ultimi commenti

  1. champagne1
    di champagne1

    bella la tua introduzione sul mantra "tratto da una storia vera!"; appena posso, confronterò il mio giudizio col tuo; ciao

    1. laulilla
      di laulilla

      Grazie del passaggio, Luigi! Fammi sapere, dopo che l'avrai visto, se hai resistito a tanta terribile durezza... Un saluto Lilli

  2. steno79
    di steno79

    Stasera sono riuscito a vederlo anch'io... appena trovo un po' di tempo ne scrivo una recensione, come pure di Blade runner 2049... sono d'accordo con la tua analisi, il film e' ben diretto da Campillo, forse un po' lungo ma comunque ben riuscito... un'opera che fa riflettere, scuote, nel finale anche emoziona... affronta di petto temi scomodi, che in Italia ancora si ha paura di nominare nel 2017 e si preferisce rimuovere. Trovo pero' fuorviante che se in italia il film non ha avuto un buon riscontro nelle sale, la Teodora distribuzione se la prenda con la comunita' gay dicendo che si meritano Adinolfi. Non e' una polemica un po' sterile? Ciao Lilli

    1. laulilla
      di laulilla

      Certamente i temi sono ancora un tabù in questo paese in cui ancora in molti credono che l'AIDS sia una malattia solo degli omosessuali, mentre riguarda tutti e che ora pare addirittura in fase di recrudescenza, almeno così ho letto. In ogni caso il film evoca le lotte che da una parte tendevano a dare visibilità alla informazione disponibile sulla quale i media dell'epoca erano reticenti; dall'altra erano un modo per molti malati di sentirsi vivi e solidali, nonostante tutto. Qui sta il meglio del film, a mio avviso, per la tenerezza percepibile con cui vengono raccontate quelle giovani vite stroncate in fretta, che in fretta costruivano i loro rapporti umani, politici e talvolta sentimentali, nella tragica consapevolezza che presto sarebbero stati irreparabilmente travolti. In questo modo un film che avrebbe potuto essere cronachistico (così era stato Dallas Buyers Club, ed era un suo difetto, secondo me) diventa un film tenero e insieme durissimo, mai sdolcinato, mantenendo un'asciuttezza del racconto che fa stare molto male, ma che è indice di uno straordinario equilibrio narrativo, sempre al limite del mélò, ma molto attento a non imboccarne la deriva scivolosa. Sorvolo sulla vergognosa battuta della Teodora film, perché non mi piacciono i pettegolezzi. Ciao, Stefano e grazie del commento!

  3. ezio
    di ezio

    certo,la verita' nel cinema deve essere diversa...altrimenti meglio un buon documentario,e qui mi sembra ,da come ne parli che risulti una pellicola imperdibile....davvero grazie.

    1. laulilla
      di laulilla

      Proprio un magnifico film, imperdibile; sono certa che non lo perderai! Grazie del passaggio e del commento, Ezio. Un saluto :)

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