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120 battiti al minuto

Regia di Robin Campillo vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su 120 battiti al minuto

di BigSur
9 stelle

Film straordinario e complesso che non ha ricevuto in Italia la dovuta attenzione. Grandi momenti di cinema in questa lotta dololorosa ed esaltante degli attivisti di Act-Up contro l'indifferenza e il silenzio dei media e della società verso i malati di Aids. Una storia d'amore tragica e coinvolgente che non teme di mostrarsi integralmente.

Da anni, la piccola guerra redazionale tra il cinema francese e italiano sembra far male ai (pochi) buoni film delle rispettive filmografie. Regolarmente, pellicole osannate in patria vengono accolte con sufficienza dalla critica transalpina in un’insofferenza perfettamente binaria tra i due confini. In Francia solo Moretti resta intoccabile, poiché il resto viene bistrattato con una foga sospetta.

L’Italia fa la sua parte con dedizione, spesso a buona ragione; neanche Kechiche riesce a entusiasmare più di tanto, e non va meglio ai nuovi talenti Harari (Diamant noir) e Ducournau (Grave) che hanno firmato gli esordi cinematografici francesi più interessanti da tre anni a questa parte rivitalizzando il film di genere.

Detto questo, sorprende la miopia che accompagna lo straordinario e struggente 120 battiti al minuto, i cui tiepidi giudizi sono così ingiustificati da risultare pretestuosi.  

Robin Campillo, soprattutto sceneggiatore per Laurent Cantet, che come realizzatore si era fatto notare per il notevole Eastern Boys, qui raggiunge maturità e intensità insospettate per la sua ancora tenue filmografia. Il coinvolgimento personale nelle vicissitudini raccontate in altre mani avrebbe nuociuto alla lucidità della narrazione, ma il 55enne autore francese nato in Marocco, al terzo film come regista, regge la fragile e rovente alchimia di passione militante, ricostruzione storica e coinvolgimento sentimentale con polso sicuro anche nei progressivi cambi situazioni e di atmosfere.  

Campillo non può innanzitutto fare a meno di filmare e concentrarsi sui corpi. Corpi utilizzati come barriere di difesa, atto d’accusa, strumento di sensibilizzazione e necessaria propaganda. Alcuni, inevitabilmente, si degraderanno e periranno seguendo il tempo scandito dall’azione. Act-Up reagisce infatti all’invisibilità dei corpi martoriati dall’Aids mostrandoli, imponendoli all’indifferenza e al fastidio di media e dell’opinione pubblica con una precisa strategia comunicativa alla quale gli spettatori intervengono quasi in tempo reale.

 

Risultati immagini per 120 battements par minute

L’inizio del film in assemblea è in questo senso sbalorditivo, e Campillo dà subito prova di grandezza con il magistrale innesto del flashback in montaggio parallelo (la prima incursione dei militanti con il sangue finto).

Questa scena fa luce e dà corpo anche alla dimensione scenica degli assalti di Act-Up che con lucidità si impossessava dei codici dell’azione spettacolare per fini politici, fusa qui in una straniante e, allo stesso tempo, geniale mise en abyme con lo spazio filmico.

Le voci e le facce di attori principali e secondari condividono un’intimità molteplice con lo spettatore che diventerà quasi insostenibile nell’ultima, tragica parte. Ma nell’assemblea si ride e si cazzeggia – esilarante (almeno nella versione originale) il dibattito sugli slogan al gay pride – dimenticando per il breve momento di una sghignazzata che una buona parte di quell’uditorio sarà condannato a morire confinato nell’isolamento sociale, con un disfacimento lento, dolente e inesorabile. E in assemblea ci si scazza violentemente non solo sulle azioni ma sulle rivendicazioni politiche – esemplare la discussione drammatica sulla punibilità di chi si è reso responsabile di commercio di sangue infetto – ricordandoci quanto 120 battiti al minuto sia un film profondamente politico pronto ad esibire le sue ferite come le sue contraddizioni pur nell’incrollabile certezza di essere dalla parte giusta.  

Sbaglia poi, a mio avviso, chi ha visto nella progressiva focalizzazione sulla storia tra Nathan e Sean un indebolimento narrativo. Al contrario! Il film sarebbe rimasto un esercizio vitale ma monco se non ci si fosse addentrati in una dimensione più intima e privata, lo straziante contrappunto della progressiva infiltrazione della malattia nella vita pubblica come in quella di coppia. E Campillo ha coraggio da vendere, non teme di mostrare scene fortissime e disturbanti senza la minima autocompiacenza, con un’infinita tenerezza.

Malgrado la sua intimorente lunghezza, 120 battiti al minuto ha una durata necessaria. Impossibile non soffermarsi infine sulla straordinaria prova di tutti gli attori. È sempre un segno di grandezza quando in una pellicola persino il ruolo fugace, il personaggio di contorno, l’apparizione momentanea colpiscono e si fissano nella memoria per precisione e potenza.  

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