Regia di Robin Campillo vedi scheda film
La storia del collettivo Act Up Paris e dei suoi militanti è vibrante e piena di umanità, nei suoi momenti più politici come in quelli più intimi. Scritto bene e girato benissimo, con immagini evocative, arricchito da un uso brillante della colonna sonora e dall'ottima prova del suo variegato ensemble di attori.
FESTIVAL DI CANNES 2017 – IN CONCORSO
Il film di Robin Campillo ricostruisce le azioni eclatanti portate avanti tra la fine degli anni 80 ed i primi 90, nel picco dell'epidemia di AIDS, dal gruppo Act Up Paris, composto di militanti, in buona parte appartenenti alla comunità lgbt, in parte sieropositivi ed in parte no, la cui missione era di contestare, con metodi dirompenti e persino brutali (come il lancio di palloncini pieni di sangue finto) le istituzioni preposte alla lotta contro l'epidemia, accusate di essere ipocrite, inefficaci e di trascurare i gruppi più marginali di sieropositivi, nonché le case farmaceutiche, accusate di perseguire cinicamente i propri interessi economici a costo delle vite dei malati. La rabbia di fronte all'indifferenza è il carburante di azioni eclatanti che costringono l'establishment a prenderli in considerazione.
Il film fa rivivere Act Up attraverso le riunioni, l'organizzazione e l'esecuzione delle azioni in stile blitz ai convegni medici, nelle sedi delle industrie farmaceutiche, nelle scuole e attraverso lo sviluppo delle dinamiche tra i vari componenti del gruppo: l'organizzatrice Sophie (Adèle Haenel), il pragmatico presidente Thibault (Antoine Reinartz), il radicale Sean (Nahuel Perez Biscayart), il nuovo arrivato Nathan (Arnaud Valois), la mamma Helene (Catherine Vinatier) ed il figlio adolescente Marco (Theophile Ray), vittima di una trasfusione di sangue infetto. I loro dibattiti (e a volte scontri) nella sede dell'organizzazione, accompagnati dallo schioccare della dita che sostituiva gli applausi, sono un dei fulcro della sceneggiatura e dell'interesse narrativo di Campillo.
Tuttavia, alla storia politica e sociale del collettivo, il regista intreccia la vicenda umana individuale dei suoi componenti, concentrandosi in particolare sulla storia d'amore tra due attivisti (le figure degli altri sono meno sviluppate al di fuori del loro ruolo nell'organizzazione): lo sfacciato Sean (malato di AIDS che va via via aggravandosi) ed il più riflessivo Nathan (che si mantiene invece sieronegativo). Attraverso le loro intense scene di sesso il film riesce con successo a trasmettere la vitalità della sessualità, in un contesto dove rischiava di essere ridotta a mero veicolo di infezione mortale. L'intimità tra i due raggiunge una particolare intensità emotiva con l'aggravarsi di Sean e l'incombere della tragedia a cui in quegli anni era molto difficile sfuggire.
Il racconto è aderente al reale e pieno di umanità, credo proprio in quanto Campillo vi traspone la sua esperienza personale di membro di Act Up Paris e riesce pertanto a calarci in maniera appassionante nelle turbolente vicende del collettivo, in una commovente ode all'attivismo di quegli anni. Scritto bene e girato benissimo, con potenti immagini evocative come quella della Senna colorata di rosso sangue, le esuberanti manifestazioni di protesta o le scene erotiche tra Sean e Nathan, arricchito da un uso brillante della colonna sonora (riconosciamo “Small Town Boy” di Bronsky Beat) e dall'ottima prova del suo variegato ensemble di attori. La lunghezza forse eccessiva non compromette l'emozione trasmessa dall'opera ed il suo valore di testimonianza storica e sociale.
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