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Regia di Robin Campillo vedi scheda film

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La recensione su 120 battiti al minuto

di alan smithee
6 stelle

Campillo filma un intenso film militante raccontandoci eventi drammatici a lui vicini. Tuttavia l'innesto di una tragica e toccante storia d'amore, finisce per prendersi troppo spazio, sviando un po' troppo sul personale e sui singoli una vicenda corale che meritava di essere lasciata al centro del racconto.

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Il regista de Les Revenant, Robin Campillo, ci racconta, anche a seguito di una sua diretta esperienza personale, la militanza di un gruppo di giovani sieropositivi ad inizio anni '90, nelle fila del movimento militante di sensibilizzazione alla lotta contro l'AIDS chiamato Act-up, con sede a Parigi.

Campilloa ci immerge in piena battaglia, condotta in quei primi dieci anni di contagio, contro il comportamento spregiudicato delle case farmaceutiche, intente a mettere dinanzi il lucro prima della ragione umana; contro la politica e le istituzioni, propense a centellinare informazioni utili per non scontrarsi con principi vetusti ed irragionevoli di moralità e buon costume di una classe sociale bigotta ancorata a inutili retaggi del passato: combattendo una battaglia determinata ma pacifica, o comunque di fatto non violenta, per poter vedere riconosciuti diritti legittimi da salvaguardare, in una corsa per vincere sul tempo il progredire dello stadio della malattia.

L'impegno apportato è totale, l'impostazione della vicenda risulta molto ben contestualizzata (il dettaglio dell'organizzazione delle riunioni, la forza delle discussioni che scorrono via come fossero improvvisate o riprese dal vivo, tanto risultano naturali e realistiche) e ci permette un tuffo nell'intimo di un passato cupo e senza speranza.

Poi tuttavia il regista dell'intenso ed emozionante Eastern Boys, decide di focalizzarsi eccessivamente sulla storia privata di amore e morte che Act-up favorisce facendo incontrare il nuovo arrivato Nathan, con l'attivista determinato e radicale che è Sean: un ragazzo che agisce andando a fondo nelle sue battaglie di sensibilizzazione ed informazione, sapendo di non avere più tempo per stare a guardare.

La struggente storia d'amore ha del toccante e possiede la grazia di sfumature intime che solo chi conosce bene certe esperienze è in grado di raccontare.

Ma a causa di questa mescolanza di vicende, quella pubblica e quella strettamente privata, toglie al film la scorrevolezza e la capacità di attrazione che ha reso il già citato Eastern Boys una vera gemma del cinema a tematica LGBT. 

Qui invece la tenera nascita di un amore frutto di militanza, e la sua struggente inesorabile conclusione, finiscono per costituire una deviazione incauta del film, che si allunga a dismisura perdendo compattezza e la lucidità di un inizio davvero promettente.

Senza contare che molto di una storia drammatica di amore e morte era gia' stata raccontata esaurientemente in capisaldi del cinema militante anni '80 pro-lotta all'Aids come Once More di Vecchiali; per non parlare della drammatica cinebiografia di una morte quasi in diretta che Cyrill Collard ci ha regalato poco prima di morire col vitalissimo e straziante resoconto di un proprio calvario personale nel potente, e già molto, troppo dimenticato "Les nuits fauves".

Tra gli attori del nutrito cast, Adele Haenel è la star indiscussa del gruppo e una forza della natura nel saper rendere la vitalità e la tenacia della sua scaltra e combattiva leader: alcuni altri interpreti, pur validi, rischiano invece talvolta di tratteggiare eccessivamente l'incedere dei propri personaggi, rischiando di stereotiparli.

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