Regia di Francesca Comencini vedi scheda film
Claudia (Mascino) conosce Flavio (Trabacchi) durante una conferenza. Entrambi sono docenti universitari. Dopo la schermaglia iniziale, i due vanno a pranzo insieme. Lei gli dichiara precipitosamente il suo amore. Lui, gratificato, nicchia ma sta al gioco. Sboccia l'amore. Durerà sette anni, tra alti e bassi, passione e sofferenze. Una frase di troppo fa traboccare un vaso stracolmo. Lui la lascia e si trova una più giovane che non lo coinvolge ma non lo fa soffrire.
Dopo vari film impegnati (Carlo Giuliani, ragazzo, Mi piace lavorare, A casa nostra, In fabbrica, Lo spazio bianco) e varie puntate di Gomorra - La serie, Francesca Comencini gira la sua seconda commedia sentimentale con ampie venature autobiografiche, arrivando a realizzare la sua opera di gran lunga migliore. Nel personaggio di Claudia, figlio della pagina letteraria della stessa Comencini, c'è tutta la sofferenza e il tormento di una donna disperatamente innamorata che si strugge interrogandosi sui motivi dell'abbandono. Una donna intemperante, spesso sopra le righe. Per lei ogni esitazione è un segno d'ambiguità, ogni silenzio dell'altro una mortificazione della sua identità, mentre lui rimane indissolubilmente legato al suo bisogno di libertà, al suo aplomb sempre così apparentemente distaccato. La Comencini è straordinariamente efficace nel restituire tutte le sfumature dei suoi personaggi, curando moltissimo anche quelli in secondo piano (su tutti, quello di Carlotta Natoli, che nella vita è la moglie di Trabacchi, e che qui troviamo nella parte dell'amica più intima di Claudia), senza mai prendersi eccessivamente sul serio. Anzi: disseminando il film con ampie dosi di ironia, momenti esilaranti (su tutti, quello del tentativo di non appoggiarsi alla tavoletta in un bagno pubblico), deviazioni grottesche (come nel bianco e nero della lezione sull'eterocapitalismo, una aritmetica sul mercato matrimoniale delle donne ultraquarantenni), scorci onirici abbinati a richiami bergmaniani (il fantasma di Claudia nella nuova vita di Flavio). Sicché il film, a dispetto del registro da commedia, propone una sorta di apologo sulla guerra dei sessi, una storia di amour fou che è anche una serissima lezione sull'elaborazione del lutto: un tripudio quasi schizofrenico di trovate stilistiche e mezzi toni, nel quale trovano posto escursioni saffiche, anonimi filmini in bianco e nero e scorci romani poco frequentati al cinema, a cominciare dal Macro di via Nizza.
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