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Amori che non sanno stare al mondo

Regia di Francesca Comencini vedi scheda film

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La recensione su Amori che non sanno stare al mondo

di mck
7 stelle

Poi uno dice che ci si butta sull’economia lesbica parallela (e comunque: era un bel cappello).

 

 

Le piccole accuratezze sentimental-comportamentali (merito anche della definizione caratteriale degli interpreti) di cui è disseminato, aggiunte al fatto che si tratta di un lavoro senza filtri (ma non per questo perfettamente ancorato al reale) e “svergognato”, che non teme il ridicolo, ed anzi lo coltiva e corteggia, e perciò lo sfiora, rendono “Amori che Non Sanno Stare al Mondo” (2017), l’ultimo lungometraggio cinematografico (cui seguiranno un paio di ep. per la non propriamente entusiasmante serie “Luna Nera”, rimanendo in attesa di un - sulla carta - improbabile reboot, sempre in campo feuilleton, del “Django” di S. e B. Corbucci), ad oggi (2022), di Francesca Comencini (“Pianoforte”, “la Luce del Lago”, “Annabelle Partagée”, “un Siècle d'Écrivains: Elsa Morante”, “Carlo Giuliani, Ragazzo”, “Mi Piace Lavorare - Mobbing”, “In Fabbrica”, “lo Spazio Bianco”), che già veniva da un altro gap di cinque anni dal film di finzione precedente (fra i due ha co-diretto il doc. agricolo olmi-rohrwacheriano “Nuove Terre”, mentre altri doc. collettivi cui ha precedentemente partecipato sono “un Altro Mondo è Possibile”, sul G8 a Genova del 2011, “Firenze, il Nostro Domani”, “Visioni d’Europa: Anna Vive a Marghera”, “L’Aquila 2009 - Cinque Registe tra le Macerie: le Donne di San Gregorio”), il non propriamente riuscito “un Giorno Speciale” (2012), presa com’è stata - prima, durante e dopo - dalla realizzazione di “Gomorra - la Serie”, per un totale di 15 ep. dalla 1ª alla 4ª stag. (2014-2019) delle 5 complessive, il film, con “le Parole di Mio Padre” (2001) e “A Casa Nostra” (2006), ma a loro nettamente inferiore, migliore della regista e sceneggiatrice (qui, con la collaborazione di Francesca Manieri e Laura Paolucci, auto-traslatrice dal suo romanzo omonimo di un lustro prima) figlia d’arte (sarebbe in cima alla classifica, forse, se rapportato alla filmografia di Cristina: ma questa è una roba maleducata da dire, perciò), oltre che la versione dramedy di un’opera (ad esempio: “Dove Non Ho Mai Abitato”) di Paolo Franchi.

 

 

Lucia Mascino (sugli assiti dei palcoscenici dai vent’anni e sui set davanti alla MdP dai trenta) ha il compito - lo si definirà: buy-ramazzottico - più improbo (forse la sua prova più “schizzata” assieme a quella portata in scena in “Amleto²” di Filippo Timi e “Favola” di Sebastiano Mauri; però non ho ancora visto “In Vacanza su Marte” di Neri Parenti), ma porta a casa la pagnotta, con pochissimi rilievi ed eccezioni imputabigli. Thomas Trabacchi, co-protagonista che detiene l’altro PdV, molto più contenuto, di narratore non onnisciente, licenzia una delle sue performance più convincenti, vale a dire, quindi, ottime (eccezionale è quella ne “l’Alligatore”, per intenderci). Valentina Bellé ("Volevo Fare la RockStar") emerge con naturale prepotenza (ma deve essere ben diretta). Carlotta Natoli - consorte di Trabacchi nella realtà - risplende. Piccola, ma incisiva, parte per Camilla Semino Favro. Camei di Silvia Calderoni, Iaia Forte, Filippo Dini, Simonetta Solder e Marcello Murru (che canta live la sua “Testaccio”).

 

 

Fotografia naturalistica di Valerio Azzali. Montaggio con ellissi metaforic’oniriche e inserti documentaristici di repertorio amatoriale di Ilaria Fraiola. Musiche di Valerio Vigliar (che con Giovanni Truppi, che la canta, ed entrambi la suonano, scrive anche la bella canzone sui titoli di coda, che porta il nome del romanzo e del film), con “Settembre” di Alberto Fortis declamata nell’aria. Producono Fandango, Rai e le Tasse, e distribuisce Warner.

 

Poi uno dice che ci si butta sull’economia lesbica parallela (e comunque: era un bel cappello).

 

* * * ½       

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