Regia di David Soren vedi scheda film
Quando il padre di un amichetto di mio figlio ha proposto di portare le rispettive proli cinquenni a vedere questo film (per giunta in una multisala e in un pomeriggio di festa) ammetto di aver tremato. In realtà dietro a un titolo intimorente (specie se collegato al marchio DreamWorks, non proprio emblema di finezza e misura) si nasconde un’opera con più di una freccia al suo arco.
Gran parte del merito va all’origine fumettistica del soggetto, fortunatamente non snaturata nel passaggio sul grande schermo: il film, come il fumetto di Dav Pilkey da cui è tratto, è un atto d’amore verso le tavole animate e al contempo un’operazione nostalgica verso la libertà espressiva dell’infanzia e come tale si sviluppa. Per certi versi è accostabile ad alcune opere di Gondry, su tutte Be kind rewind per il gusto verso l’aspetto artigianale e amatoriale della propria passione (i video per Gondry, i fumetti per Dav Pilkey), riproposto nel film grazie all’utilizzo di inserti stilisticamente “anti-digitali” quali lo scorrere di fogli in successione per inscenare un movimento oppure l’utilizzo di marionette-calzini (escamotage Gondryano al massimo, cfr. L’arte del sogno), e Microbo e Gasolina per il ritratto di un’infanzia che fa dell’amicizia e della creatività una risorsa nerd anti sistema.
Vengono anche alla memoria altre trasposizioni di graphic novels quali American Splendor o Ghost World, dove il cortocircuito tra realtà narrata e immaginata è continuo (in questo caso spinto al punto dove il confine tende a scomparire o comunque a non avere più importanza).
Chiaramente si tratta sempre di un prodotto Dreamworks con per giunta alla regia David Soren, in passato alla guida di prodotti sicuramente non di primo livello (Turbo, Shark tales), quindi assistiamo a volte ad una mancanza di controllo dell’insieme (la frenesia per l’accumulo crea una sensazione di sazietà che arriva a far sembrare troppo lungo un cartone di un’ora e mezza) oltre a una certa grevità, sicuramente giustificata dal contesto (si tratta di bambini a cavallo tra l’asilo e le elementari, ovvio che il loro umorismo sia a base di mutande, peti e Ur ano) ma insistita un po’ troppo, al punto da non far più ridere alla lunga nemmeno i coetanei dei protagonisti. Inoltre come spesso capita, quando nella seconda parte l'elemento action prende il sopravvento, il livello si appiattisce su dinamiche risapute e un po’ noiose.
Ciò nonostante il gusto per l’anarchia infantile unita a una certa dose di originalità formale hanno il sopravvento rendendo il prodotto nel complesso godibile.
Altamente probabile la possibilità di sequel, come anche il titolo originale (Captain Underpants: The First Epic Movie) suggerirebbe.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta