Regia di Nadir Moknèche vedi scheda film
CINEMA OLTRECONFINE
Troviamo il giovane Zino, di famiglia algerina ma residente in Francia, piangente, disperato ai funerali della madre, deceduta poco prima. Nonostante l’affetto degli altri parenti, la mancanza della famiglia più stretta rende la vita e le prospettive del giovane come sospese, irrisolte, vulnerabili.
Per questo motivo il ragazzo si convince che è ormai necessario mettersi sulle tracce del padre Farid, di cui da tempo si sono perse le tracce e non si conoscono più gli spostamenti.
Riuscita a far sua una pista atta a localizzarlo, il ragazzo giunge in scooter presso una scuola di ballo orientale, gestita da una eccentrica ma solidale coppia di donne lesbiche.
Non sarà, per il ragazzo, molto facile reggere l’urto della notizia che una di costoro, la giunonica ed appariscente, invero ancora molto sexy Lola, è in realtà suo padre Farid dopo che un’operazione di cambiamento di sesso, occorsa anni prima, l’ha trasformato in una “donna che ama le donne”: un cambiamento radicale quindi, ma non di gusti sessuali, sempre improntati a favore del coté femminile.
Per nessuno dei due si tratterà di un incontro facile da gestire, né di una situazione semplice da accettare e da far accettare al circondario. Ma senz’altro, tra i due potrà riaccendersi, non senza fatica o reticenza, un sentimento che, pur contrastato da mille difficoltà, è in grado di gettare le basi di un legame che non ha mai potuto essere sviluppato come avrebbe meritato.
Il cineasta di origine algerina Nadir Moknèche ha tratto questo suo ultimo lungometraggio da spunti di vicende o personaggi realmente incontrati a partire da inizi anni ’80, quando, vivendo a Pigalle, ha avuto modo di conoscere e frequentare alcune prostitute transessuali con cui, semplicemente intrattenendo rapporti di garbata e cordiale vicinanza, ha avuto modo di approfondire aspetti delle personalità di queste persone, e dei loro desideri di scegliere una sessualità definita o, come nel caso di Lola, una opposta a quella conferita da madre natura.
Il personaggio di Zino inoltre rispecchia, almeno per certi versi, il desiderio dello stesso cineasta, orfano di padre deceduto per un incidente di lavoro a quarant’anni, di vivere una esperienza di figlio ed un rapporto tradizionale con un padre che non ha mai potuto assolvere, per forza di cose, al suo ruolo di educatore e confidente.
Il film ha un incipit interessante che fa sperare in uno sviluppo altrettanto scoppiettante e ironico. Peccato che invece la storia si sviluppi o dia sin troppa priorità al lato melodrammatico, sforzando molto il suo percorso narrativo, che si indebolisce e perde di incisività.
A reggere le sorti della commedia drammatica c’è tuttavia lei: Fanny Ardant, fasciata perennemente in skinnies aderentissimi che ne esaltano, fasciandola, la statuarietà che non cede al passare del tempo, la possenza leonina e l’appeal sexy: l’essenza della donna vistosa ed eccentrica che tuttavia incede in atteggiamenti mascolini che tradiscono, almeno in parte, quando la drammaticità delle situazioni fa emergere il lato più autentico della persona, il suo passato “naturale” di uomo e padre di famiglia.
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