Regia di Antonio Rezza, Flavia Mastrella vedi scheda film
Via Padova, a Milano, è un po’ l’avamposto del multiculturalismo per eccellenza, assimilabile alla romana Piazza Vittorio. Lì convivono, non senza conflitti, immigrati e italiani che, nella gran parte dei casi, neppure sono milanesi. Antonio Rezza, con una verve spumeggiante, piglio situazionista, battute a raffica e la sostanziale missione della turlupinatura costante, li intervista per strada con la scusa dell’inchiesta giornalistica (siamo alla vigilia del ballottaggio per la sindacatura della capitale lombarda), il filo di un microfono attorcigliato sul braccio e l’insistita esposizione della pelle pendula dal gomito. Ne esce un quadro grottesco, divertentissimo, ma piuttosto inverosimile, in cui a farla da protagonista non sono né gli immigrati né gli autoctoni di ogni età e classe sociale (passati spesso per l’etichetta di terroni) bensì proprio lui, Rezza. “La famiglia è come l’istituzione mafiosa: offre protezione ma per ottenere il servizio non devi pagare nulla”, “Dio è il migliore imprenditore possibile: produce pezzi guasti, così che poi la chiesa li possa aggiustare”, “ma lei lo vorrebbe un immigrato a casa sua, che non fa niente tutto il giorno e magari mette anche i piedi sul tavolo?”: il tenore è quasi sempre questo, il ritmo è incalzante, il montaggio veloce, gli angoli di ripresa (dietro la mdp c’è Flavia Mastrella) arditi, lo stile sempre sul filo del paradosso. Ma in questo documentario girato nel 2011 in soli due giorni su commissione di una ONLUS e approdato nelle sale soltanto cinque anni dopo, dei reali problemi di quel melting pot, che si sarebbero acuiti in seguito, quasi non c’è traccia: la caricatura stravince sul ritratto.
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