Regia di Sebastián Lelio vedi scheda film
Nell’essere “oltre” tutte le convenzioni Marina trova il suo riscatto, non in quanto portatrice di una sessualità diversa, ma in quanto essere umano autentico, capace di amare con forza senza odiare il diverso.Perché il diverso non è lei.
Orso D’Argento a Berlino per la sceneggiatura scritta con Gonzalo Maza, Una donna fantastica è una storia di amore e disamore, pregiudizi in corso, impedimento a vivere e lotta contro il vento che respinge con forza.
Di Sebastian Lelio, figura di spicco nel gruppo di giovani autori del Nuovissimo Cinema Cileno (v.https://www.indie-eye.it/cinema/news/nuovissimo-cinema-cileno-una-riflessione-a margine.html) che la 49a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro mise a fuoco nel 2014, dedicandogli uno special (v. https://www.indie-eye.it/cinema/recensioni/49-pesaro-film-festival-il-cinema-di-sebastian-lelio.html ), Una donna fantastica è una storia triste di amore negato e rispetto mancato, un film che percorre una strada fra le tante, oggi, che parlano di esclusione, negazione identitaria, violenza coperta da ipocrita perbenismo, solitudine.
La cilena Marina (Daniela Vega) è una cantante transessuale. Bella e dolcissima, di eleganza felina nei movimenti, con un corpo che avrebbe fatto la gioia di Prassitele, vive a Santiago con Orlando (Francisco Reyes), vent’anni più di lei, un uomo mite e gentile che ha lasciato la famiglia da alcuni anni per questa scelta, difficile e definitiva. E’ il suo compleanno e lui ha comprato due biglietti per le cascate di Iguazù, una meraviglia del mondo moderno che apre il film con riprese mozzafiato.
Una felicità di breve durata quella a cui assistiamo in apertura, durante la notte un aneurisma se lo porta via, appena il tempo di arrivare in ospedale trascinato da Marina disperata.
Nella concitazione del momento, mentre lei lo lascia un attimo per cercare le chiavi della macchina, lui precipita dalle scale del palazzo riportando contusioni e ferite che basteranno a far nascere sospetti su chi, essendo diverso, pare debba essere naturalmente incline anche al comportamento criminale.
E dunque, come se non bastasse venir cacciata dall’appartamento di Orlando, buttata fuori dalla chiesa dove si svolge la veglia funebre, aggredita dai familiari di lui a suon di epiteti fra cui “frocio” è il più gentile, parte anche un’inchiesta della polizia con tanto di visita corporale, mortificante quanto può esserlo un’ispezione del genere, per verificare se abbia segni di colluttazione.
Lelio non risparmia nulla allo spettatore del calvario di Marina, ma il segno che contraddistingue questa donna è l’eleganza, la dolcezza, una caparbia fermezza a vivere la sua dimensione senza mai farne una bandiera da sbattere in faccia agli altri.
Marina è un essere umano a tutto tondo, e un valore aggiunto al personaggio è stato l’aver scelto Daniela Vega, una cantante cilena transessuale con cui, racconta il regista, c’è stato un lungo parlare per capire a fondo quel mondo così sconosciuto ai più.
Ne è nato un film che non racconta solo una storia, va molto oltre restando sempre nella misura giusta,
Sebastian Lelio schiva conformismi e mode, il suo cinema è trans nel senso profondo del termine, attraversa i generi, è spostamento, superamento, mutamento da una condizione ad un’altra.
Con quel che ne consegue.
“Cinema tellurico, dell’instabilità”, così Lelio definiva il cinema della sua terra d’origine, il Cile, ai tempi del suo esordio.
“La nostra terra somiglia ad una spiaggia gigante con alle spalle la montagna, una lingua di terra fra il mare e le vette della cordigliera, un paese ed un popolo aggrappati ad un angolo del mondo, senza nulla né davanti né dietro”.
Poco importa dove la storia si svolga, c’è una “internazionale” dei sentimenti e della paura o difficoltà a viverli che ci rende tutti cittadini del mondo.
E i personaggi di Lelio sono sempre trans, oltre.
Già pochi anni fa Gloria, Orso d’argento a Berlino alla protagonista, una donna diversa, fuori misura, decisa a non sottostare alle regole del vivere comune che la volevano in panchina a guardare la vita degli altri, malinconicamente ripiegata sulla sua giovinezza sfiorita.
Trasgressione anche nei film d’esordio, La Sagrada familia e Navidad, camera fissa e attonita sulla famiglia disfunzionale che produce mostri.
Diversità in El Año del Tigre, che mise in scena unostraniamento dell’individuo così irreversibile da non lasciare altra scelta che tornare volontariamente nel carcere da cui si era scappati a causa di un terremoto devastante. La cosiddetta libertà era un carcere più duro.
“Quello che è moralmente molto complesso ed eticamente assai conflittuale è ciò che mi interessa di più. Penso che un regista debba trovare il modo di porsi in una situazione di conflitto etico per filmare, altrimenti te ne stai a casa e fai altro.”
Parole che riassumono il senso dello sguardo di Lelio sul mondo.
“ Il film non vuole dare risposte, solo porre la domanda”, e la transessualità di Marina è il modo giusto per porla.
La domanda è una di quelle a cui un terzo del genere umano si sottrarrebbe volentieri, un altro terzo risponderebbe senza esitazioni come la famiglia di Orlando, solo l’ultimo terzo darebbe a questa forma dell’ amore la legittimazione che sarebbe giusto aspettarsi, se solo vivessimo su un altro pianeta.
Lelio guarda a questa figura di donna con lo sguardo dell’uomo che ha colto quello che Rilke definì lo “… splendido spazio del cuore” femminile.
Nell’essere “oltre” tutte le convenzioni Marina trova il suo riscatto, non in quanto portatrice di una sessualità diversa, ma in quanto essere umano autentico, capace di amare con forza senza odiare il diverso.
Sì, perché il diverso non è lei, è questo il sentimento che percorre tutto il film, in cui sceneggiatura (ben a ragione premiata) recitazione, colonna sonora, fotografia, tutto collabora a quell’armonia d’insieme che il corpo di Marina sembra riassumere in sé.
La musica è la scelta finale di Marina, ora che le sue battaglie sono state vinte non poteva che restare la sua splendida voce a cantare la nenia funebre per il suo compagno perduto. Il largo dal Serse di Händel che Marina canta in chiusura con la sua bellissima voce di controtenore in un teatro gremito è l’ultimo viaggio di Orfeo per riportarlo a sé.
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