Regia di Sally Potter vedi scheda film
Conciliare speculazione concettuale e invenzione narrativa stimolando il pensiero e puntando sul divertimento è cosa da maestri. O da maestre, come Sally Potter.
Arrivato da Berlino 2017 e transitato per la Festa di Roma The Party è un invito a cena con delitto?
Forse, la pistola c’è, in apertura e chiusura, forse esploderà, prima o poi, intanto entra ed esce dal cassonetto della spazzatura a ritmo sincopato, c’è chi la butta lì preso da rimorso o paura, chi la raccoglie perché “non si sa mai”, ma un colpo di pistola sarebbe il meno rispetto al caos che, con effetto domino, si scatena improvviso fra i sette amici/amanti/ compagni di partito in transito continuo fra cucina, bagno e salotto con vetrata sul cortile in un interno molto destrutturato, in linea con la coppia intellettual/borghese che la abita.
Libri, vinili, ultima moda dell’ home theater, cucina solidamente fornita con vini doc e salotto con poltrone vintage dove, al centro della scena, siede Bill (Timothy Spall),il marito, motore immobile dello scatenamento di tutte le contraddizioni.
Questa la scena.
L’inattesa, inopportuna e spiazzante confessione di Bill coram populo è un colpo basso scagliato dalla poltrona da cui sembra non doversi alzare mai più, maschera inquietante, villosa, con occhi vitrei, spalancati e immobili, sembra che solo la musica dei suoi vinili lo tenga in vita.
Eppure sarà lui a guidare le danze, creando un vortice senza controllo intorno a sé che investirà tutti travolgendoli, a partire dalla moglie, una ipercinetica Janet (Kristin Scott Thomas) che è appena stata nominata ministro della salute del governo ombra e si dà da fare come una pazza fra pentole, fornelli e cellulare.
Si sta appunto festeggiando l’evento social/politico, non manca la battuta sull’indimenticabile Margaret Tatcher che amava farsi fotografare indaffarata in cucina, sembra uno scenario tra i più convenzionali al mondo, quando all’improvviso le maschere cadono, i rapporti esplodono ribaltandosi, anni di amicizia, amore o quant’altro si sbriciolano e il fair play che fin lì aveva tenuto accuratamente a bada la convivenza cede il posto ad un gioco al massacro fatto di rivelazioni, accuse, rivendicazioni e rinfacciamenti all’ultimo sangue.
L’epilogo atteso sarà l’aggressione fisica e il probabile colpo di pistola fuori scena.
Naturalmente, poichè tutto avviene nella culla ovattata di un interno alto borghese molto cool e non sul set di un western, al mezzogiorno di fuoco si sostituisce un duello linguistico ad alto gradiente termico, dove l’humor ha una parte centrale ed è come sempre spiazzante e piacevolissimo per lo spettatore che non sa più cosa aspettarsi.
Sally Potter mette il dito su alcune piaghe dei primi vent’anni del terzo millennio e lo fa con eleganza e arguzia, umorismo e ironia, la sinistra inglese ne esce maciullata, ma anche il femminismo di ritorno con tutti i suoi clichè.
Film “da camera”, genere che normalmente finisce con la carneficina metaforica dei protagonisti, la durata di settanta minuti, tempo anomalo per una fiction ma misura ottima per un kammerspiel in bianco e nero girato in digitale con camera a mano, è un vortice inarrestabile che parte dal centro, il padrone di casa seduto in poltrona, e si dilata ad investire tutti sulla scia di stupendi brani musicali che, a frammenti, arrivano dai vinili di Bill.
La costruzione dei personaggi e della narrazione segue il modello pulp della complicazione, la linearità classica perde completamente di senso, quando sembra che i nodi stiano per sciogliersi ecco che si riavvitano più stretti.
Non c’è scampo all’ipocrisia, al mascheramento, meglio metter su un po’ di musica, magari sbagliata, come Il lamento di Didone di Purcell che, con Bill steso a terra mezzo morto forse non è il caso.
Tom è la scheggia impazzita, un esperto di finanza, qualcosa tipo broker dedito volentieri alla sniffata clandestina in bagno, elemento estraneo e incoerente con un milieu pienamente integrato: la coppia omosessuale (Cherry Jones ed Emily Mortimer) in attesa felice di parto trigemellare, April (Patricia Clarkson) l'amica americana cinica e dissacrante, vecchia compagna di barricate, che dice le battute più fulminanti sulla sinistra inutile di oggi e sui capelli di Janet, e suo marito (Bruno Ganz) a metà strada fra santone e filosofo.
Evidentemente Tom è lì perché marito di Marianne, il cosiddetto convitato di pietra, in ritardo. Se ne parla sempre e non si vedrà mai, è la nota stonata, la canzone triste del disamore.
E allora tango, un bel finale, il noto “pensiero triste che si balla”, amore mai dimenticato della Potter, innamorata prima di Astor Piazzolla e della sua musica, poi del tango come ballo e del piacere di impararlo e infine di Pablo Veron, ballerino professionista che le ha fatto da maestro per Lezioni di tango (1997).
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