Regia di Ildiko Enyedi vedi scheda film
Un uomo e una donna condividono lo stesso posto di lavoro ma entrambi hanno dei limiti che tenderebbero ad allontanarli se un evento surreale che li accomuna non li avvicinasse.
Il titolo, programmatico, riassume in maniera netta l’argomento del film: si parlerà di corpo e anima, di come l’uno sia limitato dall’altro e di quanto sia difficile trovarne una sintesi nella realtà.
Questo assunto e il successivo sviluppo sono quasi schematici e spinti quasi al limite del didascalico (i due protagonisti menomati nel corpo e nella mente, il collega disinibito e quello insicuro, il macello), rischiando sulla carta di limitare l’efficacia del film.
Per fare un confronto, un analogo schematismo strutturale frenava la riuscita dell’imperfetto The Five Senses del talentuoso ma mai del tutto espresso Jeremy Podeswa, dove meccanismi analoghi – come ad esempio la storia della cake designer emotivamente bloccata che realizza di conseguenza torte belle ma insapori – ingabbiavano anziché rafforzare il racconto.
Ma la regista Ildikó Enyedi riesce ad aggirare la trappola con un bellissimo gioco di traslazione: spoglia i corpi dei personaggi della loro espressività e la riversa sugli oggetti, evitando così il sentimentalismo senza perdere in sentimento. Ecco che quindi una saliera abbandonata in penombra dal suo amato si carica di vera malinconia e questa espressività degli oggetti evita le sottolineature e colma le (volute) lacune.
A questo si aggiunge un’ironia surreale (ben supportata dalla recitazione in sottrazione dei due protagonisti) che assieme a una gran cura delle immagini stempera con successo una certa crudezza che ogni tanto traspare.
Un film in sostanza che non rinuncia ad osare e vince la sua scommessa di mostrare un cuore celandocelo.
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