Regia di Ildiko Enyedi vedi scheda film
È possibile un incontro tra due solitudini portatrici di psicologie complesse attraverso i meandri inconsci della mente, o usando questi percorsi può nascere anche una relazione costruttiva e appagante? Dopo essersi aggiudicato l'Orso d'Oro a Berlino, per definire in breve Corpo e Anima della regista ungherese Ildikò Enyedi, il coro unanime della critica ufficiale lo ha bollato come “poetico”. Non che manchi un lavoro sulla fotografia, sulla ricercatezza dell'immagine e sulla delicatezza di un testo che potrebbe risultare ostico vista la ritrosia dei personaggi al dialogo, anzi, la regista sfoggia doti compositive che donano al film una discreta attrazione verso una storia inusuale creando nello spettatore quella curiosità e quel piacere di rileggere gli accadimenti in parallelo alla vicenda, come un coinvolgimento in prima persona. Di smaccatamente poetico c'è di sicuro la parte onirica, la riproduzione dei sogni dei personaggi, anche se l'allusione sessuale affiora sotto traccia da subito, mentre le vicende umane sono ancorate alla realtà senza farle mai cadere in un fatalismo sentimentale che avrebbe ben presto distrutto il film. La mdp non concede quasi niente all'esterno dei protagonisti salvo le prime descrizioni molto pertinenti ed efficaci sul terreno del loro incontro, un mattatoio dove ad ogni possibile fantasia della mente si sostituisce la cruda realtà privata del tempo e dello spazio. Come se la nostra società evoluta abbia ormai ampiamente interiorizzato la logica di morte (in questo caso animale) presente nell'ambito lavorativo che riduce l'individuo a semplice esecutore di ordini qualunque essi siano, ma ancora fatichi ad assimilare il concetto della macellazione, del completo annullamento in subordine, del disgregamento fisico che porta alla deriva psichica e viceversa. Lui maturo direttore del mattatoio disilluso dalla vita con una menomazione fisica, lei una giovane neoassunta ispettrice della qualità con difficoltà relazionali tendenti all'autismo che la rendono inaccessibile. Niente di troppo strano se tutto avvenisse nel silenzio e nel grigiore del tempo sociale in cui la vita scorre solo per condurre l'esistenza verso una tranquilla e anonima fine. La macellazione della quotidianità però offre uno scarto, un appiglio che non può passare inosservato, i due si ritrovano curiosamente accomunati dallo stesso tipo di sogno che hanno svelato in un colloquio con una psicologa. La normalità viene riscoperta dai due nella dimensione inconscia, una bella intuizione seppure didascalica che sostiene il film ma che a mio avviso lascia spazio ad una visione omologata, usata troppo frettolosamente per fare rientrare i due bravi protagonisti in uno spazio conformista dove le loro differenti interiorità si annullano, riflettendosi successivamente nella consuetudine riconoscibile e accettata da tutti. Se il personaggio maschile ci appare tutto sommato coerente e leggibile, è la protagonista femminile che offre una escalation drammatica che alza notevolmente il disagio della sua condizione e dunque la risoluzione della vicenda non potrà che rivelarsi come una semplificazione eccessiva della complessità che rivela. La stessa soluzione che offriva Un sapore di ruggine e ossa (Audiard, 2012), quando però la menomazione fisica della protagonista era l'unico e vero elemento centrale disgregatore di una relazione a cui si dava una risposta anti psicologica che demoliva quella tendenza pietistica e patologica che le circostanze sembrano dover imporre in certe situazioni. Anche in Corpo e anima entra in gioco la componente psicanalitica con l'evidente scopo di ridimensionarsi per non sapere affrontare la patologia della diversità se non sotto forma di adeguamento, di resa funzionale, cioè non di riconoscerla per quello che rappresenta, ma per cercare di omologarla alla frustrazione generale a cui occorre sottostare secondo le regole comuni. Se la vicenda reale si muove tra piccoli ma significativi scartamenti che riflettono la possibile evoluzione delle due persone, è la parte sognata che risulta troppo equilibrata, esteticamente impeccabile al limite della magniloquenza, indispensabile per dare una lettura benevola ad una storia ben confezionata ma che non convince fino in fondo perché deputata a tenere vivo il tono della commedia seppure disincantata, ma lontano da una vicenda umana che mantiene dentro di se una tragedia più profonda.
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