Regia di Ildiko Enyedi vedi scheda film
La regista, con ironia lieve e con molta delicata grazia, affronta il racconto di un’attrazione impossibile ma prepotente, poiché davvero troppo a lungo erano stati compressi e ignorati i naturali impulsi del corpo e della vita.
Orso d’oro a Berlino nel febbraio 2017, è ora presente nelle nostre sale questo film ungherese firmato da una regista non molto nota in Italia. Si tratta di un film molto interessante e anche originale e insolito, sia per il tema affrontato, sia, soprattutto, per il modo del racconto, che a poco a poco ci introduce nel mondo in cui si muovono i due protagonisti, Mària (Alexandra Borbély) ed Endre (Morcsányi Géza, attore non professionista, poiché precedentemente era stato editore e organizzatore culturale).
Dopo ampie e bellissime riprese che descrivono lo sfondo naturale del film: una foresta innevata e abitata da un cervo e da una cerbiatta che la percorrono, incontrandosi a tratti o allontanandosi senza mai perdersi di vista, la regista ci mostra, quasi in opposizione, un mattatoio, dove animali non liberi vengono portati per essere uccisi e destinati all’alimentazione umana. Qui le riprese non indugiano troppo sulle sofferenze dei vitelli e dei bovini destinati al macello, se non in modo allusivo, sufficiente, però, a farci temere davvero il peggio: la macchina insiste, invece, sul sangue e sulle operazioni di pulizia meticolose che seguono la mattanza, per tornare ancora sui cervi in libertà negli ampi spazi della foresta.
Questa prima parte del film, le cui corrispondenze simboliche comprenderemo più tardi, occupa una tempo considerevole dei 116 minuti complessivi della pellicola e potrebbe far pensare a un decollo lento e difficile del racconto, che è la storia, infatti, di un difficile amore fra i due principali personaggi: Mària ed Endre. Endre è un uomo di mezza età ed è il responsabile del mattatoio: dirige dall’ultimo piano gli acquisti, le assunzioni e i licenziamenti, ma non disdegna di pranzare insieme agli altri, per essere tenuto al corrente dei problemi aziendali. Raccoglie, perciò, molte confidenze, pur essendo chiuso e alquanto scontroso; ha un braccio paralizzato, ma cerca di dissimularlo, forse conseguente alla somatizzazione di angosce e dolori che appartengono a un passato da dimenticare, che lo ha reso cupo e taciturno.
Mària è stata appena assunta come responsabile del controllo di qualità. È una biondina giovane, dai lineamenti fini e delicati, ossessionata meticolosamente dalle regole e dalla loro scrupolosa applicazione. Vorrebbe passare inosservata, perciò veste male, quasi per nascondere dentro abiti informi e incolori la propria graziosa femminilità; cerca, altresì, di evitare chiacchiere e confidenze e soprattutto ogni contatto fisico di cui ha orrore; in mensa per questa ragione si tiene lontana da tutti, anche se non può evitare che il suo capo, Endre, cerchi di sapere qualcosa di lei. Il loro lento e dolorosissimo avvicinarsi è l’oggetto del film; il tramite fra loro è una psicologa, interpellata per risolvere un problema aziendale, che scopre, incredula, che entrambi, di notte sognano la stessa scena: sono diventati rispettivamente un cervo e una cerbiatta che, nella foresta innevata, si seguono, si avvicinano, si allontanano, si annusano, insomma … si corteggiano! Gli sviluppi della vicenda, che ovviamente non dirò, sono complessi, poiché per entrambi è difficile, e anche molto doloroso, abbandonare le rigide regole che si sono auto-imposti e riconoscere , al di là delle gabbie in cui sono volontariamente rinchiusi, le esigenze del corpo e dell’amore.
La regista, con ironia lieve e con molta delicata grazia, affronta il racconto di un’attrazione impossibile ma prepotente, poiché davvero troppo a lungo erano stati compressi e ignorati i naturali impulsi del corpo e della vita.
Un bel film, che, nonostante l’inizio un po’ faticoso, ripaga gli spettatori con le sue svolte sorprendenti, con la bellezza delle immagini e con la credibile recitazione dei protagonisti. Da vedere.
[…] tra noi già da lunghissimo tempo l’educazione non si degna di pensare al corpo, cosa troppo bassa e abbietta: pensa allo spirito e appunto, volendo coltivare lo spirito, rovina il corpo, senza avvedersi che rovinando questo, rovina a vicenda anche lo spirito.
(da: Dialogo di Tristano e un amico – G.Leopardi – Operette morali)
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