Regia di Giuseppe Ferrara vedi scheda film
Cronaca dei cinquantacinque giorni del sequestro di Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana, ad opera delle Brigate rosse. Diretto da Giuseppe Ferrara, fedele alla linea di una certa idea di cinema d’impegno civile votato alla documentazione e ad uno stile rozzo ed antiestetico, è un film abbozzato, freddo, giornalistico. Forse l’intenzione era di girare un film di fiction con gli strumenti del dossier: ogni scena pare una notizia da sviluppare, talvolta perfino un lancio d’agenzia. L’intento di Ferrara e della co-sceneggiatrice Armenia Balducci risiede nella requisitoria contro lo Stato parallelo caldeggiato da settori dello Stato “ufficiale”: l’ignavia della Dc, i misfatti dei militari, gli intrighi della P2. Resta più sbiadito il racconto della prigionia, coi brigatisti in empatia col prigioniero che parlano con un linguaggio vetero-rivoluzionario. In questo film sbagliato per troppa foga, si salva da questo pamphlet politico è uno straordinario Gian Maria Volontè, umanissimo Moro che, tra una reticenza e una perplessità, nel tormento assoluto, sbatte una sedia contro il soffitto per farsi sentire dagli inquilini del piano di sopra. Come sempre quando ha a che fare con personaggi reali, Volontè diventa Moro più di Moro, lavorando sulla dignità dell’uomo dopo averne esplorato la dimensione allegorica e ridicola in Todo modo.
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