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Suspense

Regia di Jack Clayton vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Suspense

di vermeverde
10 stelle

Il fim, tratto da un famoso romanzo di Henry James, è uno splendido capolavoro del cinema gotico, grazie all'ottima regia, al bellissimo bianco nero, alla perfetta ambientazione ed alla superba prova di Deborah Kerr.

Il film il cui titolo originario era The Innocents, sceneggiato da Truman Capote (con interventi di John Mortimer) e diretto nel 1961 da Jack Clayton, è tratto dal romanzo breve “Il giro di vite” (The Turn of the Screw) scritto da Henry James nel 1898: narra le vicende di una giovane istitutrice, miss Giddens (Deborah Kerr), incaricata da ricco zio (Michael Redgrave) di prendersi cura dei due nipotini, Miles (Martin Stephens) e Flora (Pamela Franklin), di cui era diventato tutore a causa della morte dei loro genitori in India, che vivono ora nella tenuta di Bly nell’Essex, di cui è governante mrs. Grose (Megs Jenkins); foschi eventi accaduti in precedenza e il comportamento ambiguo dei bambini, a volte semplicemente fanciullesco a volte come di maligna sfida all’istitutrice, impressionano miss Giddens che, nonostante il buon senso e l’aiuto di mrs. Grose, riversa su di loro le sue inquietudini portando ad un drammatico epilogo.

È importante notare che nel romanzo di James la vicenda non è raccontata (come spesso avviene) da un narratore imparziale e onnisciente ma è scritta nel memoriale dall’istitutrice, letto quando questa è ormai morta da diversi anni, cioè da un punto di vista soggettivo, di parte. Lo scrittore crea un’atmosfera di inquietante, torbida ambiguità presentando tutto ciò che avviene in modo indiretto, come ricordato, riferito, interpretato e perciò mediato, in qualche modo elaborato: vi è quindi una costante, sottile indeterminazione che avvolge la storia come in una caligine che ne sfumi i contorni.

Suspense (titolo italiano non felicissimo) segue fedelmente il testo originario e riesce a creare una tensione crescente che esplode nel finale, anche se forse le visioni di miss Giddens appaiono più realistiche di quanto figurato da Henry James, fondandosi sulle ansietà e i turbamenti della quasi onnipresente istitutrice. Alcune scene mi sono parse molto significative: ad esempio, l’uscita di uno scarafaggio dalla bocca sorridente della statua di un putto nel roseto della villa immediatamente precedente la prima visione dell’istitutrice, il bacio di Miles sulla bocca di miss Giddens, che non lo rifiuta, l’aggirarsi dell’istitutrice in camicia da notte negli oscuri corridoi di Bly al lume di candela alla vana ricerca di qualcosa, apparendo lei stessa come un fantasma inquieto, e tutta la scena finale, bellissima e toccante.

La omessa soluzione del dilemma se i bambini siano o no posseduti dalle anime di Quint e miss Jessell secondo me, a parte l’indubbia efficacia drammatica, non modifica il tema di fondo, e cioè la corruzione dei minori da parte di adulti traviati perché in ogni caso Miles e Flora sono stati influenzati negativamente, come appare dai loro comportamenti ambigui, anche se nascondono tale influenza: il contatto con il male, comunque avvenga, lascia la sua impronta. Il fatto, poi, che lo zio tutore si disinteressi di loro con esplicito egoismo rende anche lui colpevole, indirettamente ma in modo significativo, della corruzione dei bambini. L’istitutrice nel suo accanimento nel perseguire una moralità sessuofobica, anziché liberarli è alla fine anch’essa fonte di male per i bambini e di frustrazione per lei stessa. In ultima analisi, nel romanzo come nel film, si può scorgere una critica implicita a certi aspetti della società vittoriana la cui superficie levigata nascondeva torbide pulsioni e, in particolare, l’elusione dei problemi sessuali nell’educazione dei bambini ha reso questi più vulnerabili.

L’aspetto formale è di alto livello in tutte le sue componenti: la splendida fotografia (di Freddie Francis) in bianconero contribuisce validamente alla creazione dell’atmosfera “gotica”, ricca di una vasta gamma di toni e sfumature nelle scene luminose (particolarmente gli esterni) e di taglio quasi espressionista negli interni oscuri e contrastati (anche con l’ausilio di speciali filtri); l’ambientazione nella villa e nel suo parco e annesso laghetto è perfettamente aderente alle situazioni del racconto, come pure gli splendidi costumi dell’epoca vittoriana. Nel film non c’è una musica autonoma, ma solo diegetica: una triste canzone che dall’incipit accompagna l’evoluzione della vicenda.

Punto di forza del film, che ne determina la piena riuscita, è la conclamata superba interpretazione di Deborah Kerr che rende con naturalezza e verosimiglianza i diversi stati d’animo della protagonista con una variegata gamma di espressioni, descritti nel romanzo con una minuzia forse eccessiva che, in fin dei conti, mi fa preferire il film al romanzo che pure considero ammirevole (è una questione di gusto personale, non un giudizio estetico). Sono notevoli e ben calibrate le interpretazioni dei due bambini (i cui interpreti hanno poi proseguito la carriera di attori), come quella di Megs Jenkins; incisivo il cameo di Michael Redgrave.

In conclusione, un capolavoro del cinema “gotico” (non lo considero un horror), che ritengo non inferiore a nessun altro film di tale genere.

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