Regia di Mark Palansky vedi scheda film
La componente sci-fi è decisamente pretestuosa, direi quasi invadente. Se ne salvino alcuni spunti (l’idea della memoria store/icizzata su schedine di vetro non è poi così male), in realtà “Rememory” tratta di questioni di (in)coscienza foriera di sofferenza, di colpe quasi sempre non proprie, certamente non elaborate, e le conseguenti necessità di redenzione che si dipanano in una ragnatela di ipotesi e di eventi propriamente thriller, con una narrazione che spesso si arrampica sugli specchi (ma anche no: si potrebbe leggere anche come favola), una sceneggiatura circolare che parte e arriva nello stesso punto e che tiene comunque sempre abbastanza alta la tensione anche quando delude un po’ le (non necessariamente assolute) esigenze e aspettative logico/poliziesche
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Questo film di Palansky è costruito su buone idee, generose e molto poetiche; quella che più mi è sembrata efficace è il mestiere di modellista attribuito al protagonista Sam Bloom/Peter Dinklage (oddio.... c’è un riferimento al circo Bloom?!?) : la plastica ricostruzione “in scala” della memoria (allora il nano, in quanto nano, Bloom potrebbe starmi anche bene), accurata, severa, senza sconti, determinata a ricercare una verità non solo dei fatti, ma anche appunto della coscienza, fa da concreto contraltare agli sforzi già detti pretestuosi dello scientismo pedante e pesante che permea e offusca questa che è fondamentalmente un bel giallo basato su più di una bella storia sentimentale fatta di “cose più grandi di noi” (allora il circo e il nome beffardo mi stanno anche bene).
Onore e gloria a Julia Ormond, sempre fantastica, al buon Dinklage, a Martin Donovan/pazzo professore, ma soprattutto alla legnosa bellezza di Evelyne Brochu che, da quando l’ho rivista in “Inch’Allah”, non riesco a togliermi dalla testa. Forse servirebbe una schedina di vetro anche a me...
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