Regia di Dee Rees vedi scheda film
Come tutti i fenomeni festivalieri anche la discussione legata alla presenza di titoli destinati alla sola distribuzione via internet inizia a sgonfiarsi e, di conseguenza, anche le polemiche sulla scelte dei selezionatori di mettere in gara produzioni targate Netflix. A rimanere inalterata, almeno da parte degli appassionati, è piuttosto la curiosità di vedere se, e in che modo, il nuovo brand sia in grado di dire la sua nell'ambito di un mercato sempre più saturo di proposte. Un contributo alla discussione la può dare la visione di "Mudbound", realizzato in chiave Oscar dalla piattaforma americana e passato con buon successo alla scorsa edizione del Sundance Film Festival. In effetti il lungometraggio diretto dalla regista Dee Rees presenta alcune delle caratteristiche che meglio si addicono ai gusti dell'Academy, prima fra tutte quella di presentare con toni edificanti e stile classico una storia di ordinaria discriminazione ambientata nel Mississippi razzista e intollerante della seconda metà degli anni 40. Protagonisti di "Mudbound" sono due uomini che si ritrovano a condividere i traumi della guerra dalla quale sono appena tornati. Divisi dal colore della pelle e obbligati a fare i conti con le rispettive responsabilità familiari, l'amicizia tra i due protagonisti fa da corollario a un'epopea collettiva dove i torti e i soprusi, fatti e ricevuti, non impediscono a uomini e donne di sperimentare l'intero spettro dei sentimenti umani. Più che la ricostruzione d'epoca, corretta ma didascalica, a fare la differenza in "Mudbound" è la capacità della Rees di maneggiare il coté emotivo dei personaggi, i quali sottomessi a un'esistenza di sacrifici, umiliazioni e false aspettative, colorano la vicenda con forme da melodramma vecchio stile. Per contro a essere nuove sono le facce degli attori tra cui, oltre a Carey Milligan, si distinguono quelle dei due giovani protagonisti, Garrett Hedlund e Jason Mitchell.
(pubblicata su ondacinema.it)
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