Regia di Dee Rees vedi scheda film
La sceneggiatura della regista Dee Rees si affloscia subito sotto il peso della propria provenienza letteraria, proponendo una lunga prima parte convulsa, prolissa ed eccessivamente verbosa, nella quale vorrebbe raccontare tanto ma riesce solamente a far 'declamare il racconto' a ben cinque voci fuori campo onnipresenti e pedanti.
Primi anni '40. Dopo esser stati truffati per l'acquisto di una fattoria tutta loro, Henry and Laura McAllan si vedono costretti, con i pochi soldi che gli restano, a ripiegare su una casa ben più modesta e per di più già abitata da Hap e Florence Jackson con i loro figli, una famiglia di afroamericani che vive lì già da tempo e da lì sta progettando il suo futuro, ma che, suo malgrado, non può non accettarne la presenza, l'autorità e la precedenza, ritrovandosi di colpo in posizione subordinata in virtù delle Leggi Jim Crow emanate alla fine del XIX secolo e ancora in vigore.
Nel frattempo, la seconda guerra mondiale chiama a sé un maschio per famiglia: l'altro figlio maschio di casa McAllan, Jamie, e il primogenito dei Jackson, Ronsel, il primo spedito a pilotare aerei, e il secondo a combattere in prima linea. La permanenza in Europa li pone di fronte a una cultura diversa e più aperta che cambia entrambi. Al ritorno, il nuovo impatto con il razzismo che si respira lì sul delta del Mississipi è per loro devastante: già provati dal ricordo del conflitto, i due trovano l'uno nell'altro un sostegno e stringono amicizia, sfidando però pericolosamente le convinzioni di papà McAllen e della maggioranza bigotta.
Tratto dall'omonimo romanzo di Hillary Jordan, Mudbound si ripromette di condensare in poco più di due ore un lustro della storia di queste due famiglie per produrre una foto il più possibile fedele di quanto fosse culturalmente aberrante la situazione nell'America rurale in quegli anni: lo fa presentando poco a poco tutti i suoi personaggi e mostrando di ciascuno quali sono le idee, i pensieri o i desideri, soffermandosi sulla frustrazione di Hap, che vorrebbe dare alla figlia ora bimba l'opportunità di realizzarsi, come sui tentennamenti di Laura, che ha sposato il fratello sbagliato ed è sempre in contrasto con la sua blanda imitazione del proprio padre padrone. La sceneggiatura della regista Dee Rees (scritta con Virgin Williams), però, si affloscia subito sotto il peso della propria provenienza letteraria, proponendo una lunga prima parte convulsa, prolissa ed eccessivamente verbosa, nella quale vorrebbe raccontare tanto ma riesce solamente a far 'declamare il racconto' a ben cinque voci fuori campo onnipresenti e pedanti, puntando all'opera corale ma finendo per sfociare in un polpettone frammentario e senza ritmo.
Seppur l'ingorgo di informazioni e voice-over si sciolga solo dopo un'ora abbondante, permettendo che al dramma di montare e al ritmo di salire quando i buoi sono ormai usciti dalla stalla, Mudbound resta una megaproduzione dell'ormai non più solo emergente Netflix, vanta la presenza di un buon cast (sprecato) e affronta (scolasticamente) un tema capace di far vibrare la coscienza sporca degli 'americani', e tanto basterà per farne un sicuro protagonista alla prossima notte degli Oscar.
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Cinque voci fuori campo!?
:O
Per caso volevano battere qualche record?
:D
Matti, anche se poi, come scrivi, non vanno avanti in questo modo fino alla fine.
Approfitto della tua recensione per due note, una presa altrove (e comunque espressa anche nel tuo pezzo), una mia.
Si parla un gran bene di questo film in chiave "premi" di settore (Golden Globe e Oscar), mentre dal mio canto devo dire che continuo a trovare pochissime soddisfazioni dalle produzioni originali Netflix.
Se nella serialità hanno scombinato le carte del mazzo, per quanto riguarda il cinema non hanno ancora prodotto niente di eclatante (toccherà a Scorsese sfatare il tabù?), ma soprattutto la maggior parte di quanto ho visto mi pare proprio modesto.
E per fortuna che dovrebbero osare. Altro che futuro...
;-)
Personalmente, non ho nulla a priori contro Netflix: nasce da un sistema figlio di questi tempi che hanno partorito nuovi metodi di fruizione del cinema. Per il resto, un film è un film, e a parità di soldi, a livelli di produzioni mainstram, cambia poco o nulla.
Riguardo alle voci fuori campo, sinceramente ti confesso di esser rimasto con il dubbio che fossero quattro anziché cinque, ma per verificarlo lo dovrei rivedere, e sarebbe un'esperienza estenuante. Ma che siano quattro o cinque, la sostanza non cambia...
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