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The Big Sick - Il matrimonio si può evitare... l'amore no

Regia di Michael Showalter vedi scheda film

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La recensione su The Big Sick - Il matrimonio si può evitare... l'amore no

di laulilla
7 stelle

Il titolo italiano di questo film indipendente, presentato con grande favore di pubblico al recente Festival di Locarno, non ha alcun senso: è fuorviante, poiché sembra alludere a un contenuto ridanciano, che non si trova nel film, commedia sentimentale misurata e garbata.
L’interprete maschile è Kumail Nanjiani, che insieme a Emily Gordon ha sceneggiato una vicenda  molto simile a quella vissuta con lei, diventata sua moglie dopo che traversie e peripezie di ogni tipo avevano obbligato entrambi a chiarire, prima di tutto a se stessi, quali fossero le cose davvero importanti per loro: è sicuramente vero, infatti, che un amore può ben sopravvivere anche senza matrimonio, ma senza un progetto di lungo respiro, no.
Si erano conosciuti a Chicago, in un locale in cui Kumail, pachistano figlio di immigrati, si esibiva come cabarettista insieme a qualche collega che come lui avrebbe voluto diventare un comico di professione. Scarso il pubblico, ma lei (Zoe Kazan) era lì, se lo mangiava con gli occhi partecipando con qualche parola “giusta” a quell’esibizione, cosicché al termine egli le si era avvicinato. Era nata così la loro storia bella: i due si piacevano molto e non potevano fare a meno di rivedersi, nonostante il patto di non dare seguito al primo incontro se non con un secondo, dopo di che ognuno sarebbe tornato a vivere la propria vita, per realizzare il proprio sogno: la laurea in psicologia per lei, studentessa che doveva studiare senza altre distrazioni; la fama per lui, comico di notte e autista Huber durante il giorno. Ognuno di loro viveva da solo: i genitori di lei, colti e snob, erano rimasti nel North Carolina; quelli di lui, vivevano “all’occidentale” in un complesso residenziale della periferia metropolitana e, per quanto perfettamente integrati nella società americana, dal Pakistan avevano importato la convinzione che il futuro dei figli fosse un affare di famiglia, soprattutto quello matrimoniale. Accadeva perciò che le visite di Kumail diventassero per sua madre l’occasione per cucinargli le prelibatezze pachistane (il comfort food, altro che il fast food!), che certamente una brava ragazza, con la sua stessa origine, avrebbe saputo preparare per lui. Quante brave ragazze gli erano state fatte trovare … per caso, durante quelle visite!
La descrizione della famiglia di Kumail indulge anche troppo
su questi particolari buffi, già molto visti al cinema, rischiando effetti di caricatura stereotipata.
Per fortuna, invece, presto la regia dirotta la nostra attenzione verso la problematica famiglia di lei, vero centro del film, nei cui conflitti interni tutti noi riconosciamo il nostro mondo con le sue evidenti contraddizioni, mentre gli ideali e la realtà, confrontandosi, ripropongono ancora il tema dell’accoglienza e della diversità dopo che i fatti dell’11 settembre 2001 avevano messo in crisi le più diffuse convinzioni democratiche per effetto della paura. L’avvicinamento difficile di Kumail a Beth e Terry, i genitori di Emily, sarebbe avvenuto nelle drammatiche circostanze a cui il titolo originale accenna: la grave malattia di lei, durante la quale Kumail avrebbe compreso molte cose sull’amore, sul futuro e sul senso della vita… Altro non intendo aggiungere, se non che il film, per il modo non sdolcinato del racconto, per i temi molto seri che propone, per l’ottima interpretazione dei bravissimi attori (soprattutto di Emily, Zoe Kazan, la nipote del grande regista Elia Kazan), è da vedere. Forse non è un capolavoro, ma è una gradevolissima e bella sorpresa.

 

 

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