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L'altro volto della speranza

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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La recensione su L'altro volto della speranza

di MarioC
8 stelle

Diciamo, con formula abusatissima, che Aki Kaurismaki è patrimonio dell’umanità. Anche quando, come nel precedente Miracolo a Le Havre, sembra indulgere ad un buonismo che non è nelle sue corde, anche laddove separa nettamente due storie ed i loro protagonisti (anche nella grammatica del racconto, nei registri visivi e lessicali) salvo poi farli incontrare in quel territorio mistico fatto di poesia che letteralmente sgorga dalla sorgente del nulla, da una canzone rock trasandata, da un improvvisato incontro di boxe tra i bidoni della spazzatura, dall’inquadratura fissa e ieratica su un volto, un dettaglio, un vestito, un colore.

 

 

I punti cardinali della poetica del finlandese contemplano questa volta disperazioni universali e testacoda esistenziali, la necessità di un permesso di soggiorno e la dismissione di uno stock di camicie, mare aperto e sporco di petrolio e aringhe spacciate per salmone. L’immigrato ed il loser in giacca e cravatta, l’integrazione in un paese straniero e la difficile se non impossibile arte di trasformare un’attività commerciale in un Paese dei Balocchi che anticipi e precorra i desideri e le aspettative della clientela (impagabili le rapide sequenze, ellittiche ca va sans dire, con le quali il ristorante ci viene mostrato nei suoi nuovi metafisici look). E poi l’immancabile rock nordico, di strada o snocciolato in fumosi e poco raccomandabili locali, il ritmo che decide ed incanala le vite, la musica che allevia o dispera, l’importante è lo stato d’animo con cui sai disporti ad essa.  Infine, e naturalmente, il sapido gusto per il dettaglio, di cui Kaurismaki è maestro e caposcuola ineguagliabile: la telecamera fissa che inquadra ed incornicia un gruppo di persone sedute ad un tavolo, mute o quasi (anche perche straniere l’una all’altra), alla ricerca di un abbozzo o tentativo di esperanto; la donna finlandese (meglio: il volto della donna finlandese) che, senza emozioni, come se recitasse un rosario di stanche preghiere, comunica la propria intenzione di emigrare in Giappone, alla ricerca di vita, calore, movimento (ancora l’emigrazione, questa volta ripresa dal lato  dei non perdenti, almeno apparentemente poiché si può perdere anche in una vita che replica se stessa senza balzi di fantasia); l’amore coniugale che riemerge in un lampo di semi-mutismo, come porto sicuro ma anche necessario; un finale che non forza, non oltrepassa il limite, di consueta tristezza contenuta e che pure reca in sé il bocciolo della possibilità, del malinconico ottimismo.          

I film di Kaurismaki sono intrecci di volti senza sorrisi e di bocche senza parole, di stupore beota e sogni di infantile rivoluzionarietà (come non ricordare il Koistinen de Le luci della sera, personaggio qui replicato ed eternato nel nome di un cane?), sono la sintesi mirabile tra muta loquacità e logorroici intermezzi senza parole. Anche L’altro volto della speranza è dunque un piccolo miracolo di eleganza senza patinatura, di vezzosità che si fa bastare il vuoto per elevarsi a grazia, a vero e proprio carme poetico.                                                                                                                                                                                                                     

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