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L'altro volto della speranza

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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La recensione su L'altro volto della speranza

di leporello
5 stelle

     Non so bene cosa sia rimasto dell’irresistibile Kaurismäki degli anni ‘ 80 e ’90: dopo “Juha”, che venne annunciato come “L’ultimo film in bianco e nero del millennio”, il regista finlandese è piuttosto sbiadito, pur accendendo sempre più le sue pellicole di colori forti e facendo di questi (ahimè, temo: solo di questi) il suo tratto distintivo più immediatamente riconoscibile. Ma il piglio della sua ironia spesso insensata (non-sensata), quei lunghi primi piani o piani stretti sui volti e sulle situazioni sotto vetro che tanto assomigliavano a lunghi fermi-immagine spiazzanti, il sarcasmo inespressivo di una eloquente immobilità delle figure che diventava ben presto comico, sono solo il ricordo di un passato in bianco e nero ( ma non solo) ormai lontano.

 

      Di ciò che contenevano “Vita da Bohéme” (a mio parere: il suo capolavoro), “Ho affittato un Killer” (il più geniale e divertente), della capacità di strappare dal nulla e con nulla una risata vera ( per quanto gelida e secca come l’atmosfera di Finlandia), della fantasia dei “Leningrad” o dell’”Uomo senza passato”, tutto manca all’appello in questo “L’altro Volto della Speranza”, che di quel Kaurismäki (quello del millennio passato) ricorda sì e no qualcosa in due, forse tre scene e non di più (la partita a poker, l’incontro pugnante dei due protagonisti, il tentativo di riconversione in sushi del ristorante).

 

   Per il resto, come già fu per il deludente “Miracolo a Le Havre”, Kaurismäki pare essersi assopito sulla stucchevole ordinarietà delle cose, su tematiche sociale all’ordine del giorno che mal si adattano ad un “disordinato” come solo lui sa essere, senza più riuscire a fare un cinema che sia davvero “diverso” e originale, senza i suoi tipici valori aggiunti a suon di sottrazioni, senza colpi di genio, senza la buffa amarezza dei suoi drammi grotteschi e distaccati, fornendoci con quest’ultimo lavoro un rappresentazione in fondo piuttosto banale di un reportage di cronaca di vita quotidiana e purtroppo non più bohémienne. 

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