Regia di Tarik Saleh vedi scheda film
A primo acchito, senza nulla sapere, con tutti quei nomi arabi sembra un film egiziano, coraggioso, rivoluzionario, e la cosa suona come speranza, poi invece si scopre che è un film svedese al quale partecipano tutti emigrati, e che il governo egiziano ne ha impedito le riprese, che sono state spostate in Marocco per forza di cose. E allora si spiega tutto. Certamente non si tratta di uno spot pubblicitario che invogli a trascorrere un periodo di vacanza nel paese dei Faraoni, il regista probabilmente non ha nemmeno avuto la mano pesante, la realtà probabilmente è molto peggiore di come è stata presentata nella pellicola. Il protagonista offre una prova molto buona, è una specie di Ives Montand arabo, e in verità di arabo ha molto poco, soddisfacenti anche le interpretazioni degli altri attori. Il soggetto è ispirato ad un fatto simile accaduto tre anni prima del 2011, anno in cui è ambientata la vicenda, un fatto di sangue dai contorni ancora oscuri. La fotografia non è certamente il cavallo di battaglia della pellicola, poco contrastata, con una paletta di colori deboli, ma forse l'aspetto documentaristico è stato voluto appositamente per lo spirito della narrazione. Difficile per uno spettatore italiano non pensare alla vicenda di Giulio Regeni, sequestrato il 25 Gennaio 2016, proprio il giorno del quinto anniversario delle proteste rappresentate nel film, e la cosa non può che aggiungere un'ulteriore nota di tristezza.
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