Regia di Luca Manfredi vedi scheda film
Quando Manfredi non era ancora Manfredi. La biopic televisiva sull'immenso Nino Manfredi (all'anagrafe Saturnino), che il figlio Luca gli dedica a oltre due lustri dalla morte (avvenuta nel 2004), si concentra infatti sugli anni che precedono l'affermazione - prima televisiva, poi in teatro e al cinema - del padre.
Cresciuto a causa di una pleurite in un sanatorio, durante il fascismo, il giovane Saturnino si dimostrò fin da subito sagace, intelligente, ironico, incline alo scherzo, amante della musica e con un vero talento attoriale. Tuttavia il padre, un carabiniere ciociaro, aveva in programma per lui una laurea in giurisprudenza - titolo che Nino effettivamente riuscì a prendere - mostrandosi totalmente refrattario alla vocazione artistica del figlio. È sulla dialettica di odio e amore tra i due che si gioca una buona parte del film, al quale pure non mancano i riferimenti al casuale e progressivo inserimento nel teatro, agli iniziali difetti di dizione, all'alba di quel grande amore che Manfredi avrebbe poi avuto con Erminia (Leone), sua moglie per cinquant'anni.
Se l'impronta da sceneggiato televisivo è ben visibile nell'uso delle luci, in una certa povertà scenografica e in un cast complessivamente non proprio di primissimo livello, al film va riconosciuto un registro non agiografico, un ritmo notevole ma, più di tutto, la performance assolutamente maiuscola di Elio Germano, capace di appropriarsi di tutti i tratti espressivi e prosodici dell'attore di Castro dei Volsci, una prova di mimetismo talmente potente che non fa che ribadire che il 37enne romano è uno dei più grandi talenti che il nostro cinema abbia espresso da vent'anni a questa parte.
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