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Ingrid va a ovest

Regia di Matt Spicer vedi scheda film

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La recensione su Ingrid va a ovest

di mck
7 stelle

“We Tell Ourselves Stories in Order to Live.”

 

 

Dimessa dal Buen Retiro dell'istituto di cure psichiatriche (“Legion”) dov'era stata ricoverata per scontare la propria pena alternativa al carcere commissionatale dal tribunale per l'aggressione perpretata ai danni di una “amica”, e fresca orfana di madre il cui capezzale è ancora caldo e sfatto (curiosa assonanza con una similare scena presente in un recente film del tutto antitetico a questo "Ingrid Goes West", "Hell or High Water") quando rienra a casa, l'anaffetiva e semi-autistica (“Parks and Recreation”), tenera ed inesperta (“the To Do List”), ma non ingenua né stupida (“Ned Rifle”), e pscio/sociopatica (“Legion”) Ingrid se ne trova ben presto un altro, di Buen Retiro (“the Deer Park” di Norman Mailer), e un'altra, di “amica”. E noi la seguiamo, Go We(s)t!  

 

 

Matt Spicer co-scrive (attendiamo “Flower”, da lui co-sceneggiato e girato da Max Winkler) - con David Branson Smith - e dirige la sua opera prima sulla lunga distanza dopo una manciata di corti nel lustro precedente introducendo una problematica che ha raggiunto lo stato transclassista e cosmopolita (e ciò riguarda tanto gli stalker quanto le vittime “inconsapevoli”) nel corpo di un dramedy innervato di recentemente canonizzata (da "Fatal Attraction" di Adrian Lyne a "Single White Female" - film drammatico espressamente citato metacinematograficamente in un dialogo di cui "Ingrid Goes West" rappresenta un aggiornamento, con innesti di commedia, ai tempi degli smartfoni/cosi e dei dis/social - di Barbet Schroeder) neoclassicità: si (?), sto parlando (anche) dei Farrelly, e in parte, ovviamente, di Jeff Baena [che in tutti e tre i suoi film scritti e diretti (“Life After Beth”, “Joshy”, “the Little Hours”) ha sempre lavorato con l'ammmore della sua vita (ma io son qui che aspetto e non demordo, eh, Aubrey!), Plaza], ma soprattutto, e in buona e larga parte purtroppo, anche di Marc Webb [l'adorabile e crudele “(500) Days of Summer” e poi più niente, ovvero il nulla di Spider Man reboot], di Mark Waters (“the House of Yes”, e poi quasi nient'e nulla), di Chris/Paul Weitz... 

 

 

“Dovresti essere CatWoman, e invece sei Two-Face!”

 

 

Il film è sorretto dalle lacrime neroseppiate di mascara, dai sorrisi mai appagati, dal moccio, dal sudore, dalla patina di sporco epidermico e dalla lucidità che prova ad affiancarsi alla follia (senza mai domarla né esserne scalciata, senza mai cavalcarla né, perciò, esserne disarcionata, ma riuscendo solo a starle al passo sussurrandole dolci parole all'orecchio) di Aubrey Plaza.    

 

 

Elizabeth Olsen (“Martha Marcy May Marlene”, “OldBoy”, “Godzilla”, “Wind River”) e il trio maschile composto da O'Shea Jackson (prendete “Defendor”, “Super” e Kick -Ass e metteteli s'un triciclo elettrico per ospedalizzati di traumatologia/ortopedia, anziani e disabili: adorabile...a suo modo), Wyatt Russell (son lontane le Vermillion Sands, figliolo...) e Billy Magnussen (il Roger McAllister annegato nella vasca da bagno da Gillian Darmody/Gretchen Mol per via della sua grande somiglianza col figlio Jimmy/Michael Pitt, e infatti in “Ingrid Goes West” sembra un personaggio uscito dalla copia conforme transoceanica di "Funny Games" e fa senz'altro più paura e disgusto di Ingrid) riescono “solo”, come la lucidità con la follia, a starle dietro.    

 

 

Fotografia di Bryce Fortner (“Portlandia”) e montaggio di Jack Price (semi esordiente). La musica, pur molto buona, di Jonathan Sadoff e Nick Thornburn, spesso è utilizzata troppo pleonasticamente, atta a creare tensione coadiuvante, esplicativa e anticipatrice: vedasi l'ultima spedizione notturna a casa dei vecchi amici e il “lieto fine molto triste”, che tale sarebbe stato pur con l'apporto di una musica in cotrocanto/tendenza - per l'appunto - allegra, ché il film parla di una malattia, e per l'essere umano medio (non solo “occidentale”) l'assistere alla dispersione dell'eredità genitoriale [in questo caso genitrice, materna: una convivenza, un rapporto di interdipendenza e reciprocità, e infine una separazione (addio definitivo: "assenza: più acuta presenza", qui rappresentata esclusivamente da una $acca di $oldi), tra le due donne, che rimanda alla mente quello presente (distacco temporaneo) in un film contemporaneo ma opposto a questo "Ingrid Goes West", "Columbus"] è quasi insostenibile...anche se rende la (altrui) progenie “felici”.   

 

 

Ci raccontiamo storie per continuare a vivere. [Interpretiamo ciò che vediamo, selezioniamo la più praticabile delle scelte multiple.]”   
Joan Didion - “the White Album” - 1979   
#youlikeme ♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥ ;-) ;-) ;-) ;-) ;-)

 

* * * ¼ (½)   

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