Regia di David Lowery vedi scheda film
CINEMA OLTRECONFINE
Una coppia amorevole ed affiatata si insedia ad abitare un villino prefabbricato in mezzo alla campagna, ove l'uomo potrà dedicarsi senza problemi al proprio mestiere di compositore musicale.
Proprio di fronte a casa tuttavia, lo sguardo spiazzante ed implacabile della mdp ci mostra gli effetti devastanti di uno scontro frontale d'auto a seguito del quale l'uomo rimane vittima, morendo sul colpo.
In obitorio il suo corpo, avvolto di un lungo lenzuolo bianco, ad un certo punto, dopo la visita della moglie sconvolta, inizia a muoversi e a prendere forma, a spostarsi e a far ritorno, come fosse una cosa naturale ed automatica, presso l'abitazione dell'uomo. Non si sposterà più da quel luogo, non visto, ma guardingo, sofferente per essere ignorato da chiunque (se non minimamente percepito da qualche bambino più sensibile del normale), bisognoso di provare quei sentimenti terreni che in lui non riescono ad allontanarlo da una melanconica nostalgia di tutto ciò che di bello è stato.
David Lowery, quello dell'ottimo "Senza santi in paradiso", riforma la coppia Casey Affleck/Rooney Mara, per metterla tuttavia in disparte a beneficio di un essere impalpabile che, sin dall'infanzia, la fantasia popolare ci ha sempre insegnato trattarsi di un lenziolo impalpabile dotato di forme almeno vagamente antropomorfe.
Lowery dirige magnificamente posizionandosi attorno alla figura inizialmente un pò impressionante del fantasma - una sorta di Belfagor bianco che comunica più minaccia che rassicurazione - seguendo l'essere nel suo peregrinaggio lento e proteso all'osservazione di tutto il creato e dei movimento degli esseri umani che gli girano attorno ignari della sua presenza. Dai due fori che puerilmente lasciano scoperte due orbite nere, siamo certi di poter percepire lo smarrimento fanciullesco di un'anima che, liberarsi improvvisamente dal corpo, non riesce a darsi pace se non ritornando nei luoghi familiari a quel corpo che ormai non può più contenere o di cui non riesce più ad essere parte integrante.
Noi spettatori riusciamo almeno ad intuire questa dolorosa frustrazione, ed in questo particolare prezioso sta, a mio giudizio, tutta eccezionalità dell'opera.
Lowery stabilisce una sorta di complicità con lo spettatore, permettendogli di percepire e vedere tutto ciò che ai personaggi non è permesso nemmeno intuire.
Pertanto A ghost story deluderà sia chi si convince erroneamente di stare per assistere all'horror definitivo sui fantasmi, sia chi, magari più imformato, si induce a ritenere di ritrovare i tratti della commedia romantica alla Ghost.
Sbagliato per entrambi i casi: il film rimane incentrato sulla figura sospesa, melanconica, impenetrabile ma anche sempre più espressiva ed umana, del fantasma, che tra l'altro percepisce anche la sensazione di non essere affatto solo, e viaggia nel tempo avanti e indietro, mantenendosi fermamente legato al posto che il suo essere umano ormai trapassato aveva scelto come dimora definitiva.
Lowery trova il tempo, in quei contemplativi e a volte struggenti 85 minuti di durata, di focalizzare l'attenzione sul viaggio del fantasma verso casa (con scene esteticamente meravigliose ed impressionanti quasi come in un vero horror), di dedicare un lungo piano sequenza ad esprimere lo sconcerto ed il dolore della moglie sopravvissuta, mentre si avventa a divorare bulimicamente una torta che una vicina compassionevole le ha lasciato, osservata dall'attonito fantasma del marito, inerme e dallo "sguardo" triste e rassegnato; e a fornirci pure un excursus del genere umano, urlato ed acclamato per bocca di un cantante folk di nome Will Oldham che ci rivela la summa dei segreti cosmici dell'esistenza, entrando in gioco quasi a tradimento nel bel mezzo di una festa che celebra uno degli svariati passaggi di proprietà dell'immobile nel tempo.
Un tempo che scorre inesorabile, e consuma le cose, le case, facendole abbattere e riducendole a detriti, da cui sorgeranno nuove cattedrali, ove le anime dei trapassati manterranno la loro emblematica presenza riservata e malinconica.
Un film raccolto e meditativo, che sa trovare la serietà e la lucidità di spunti emotivi in grado di commuovere e far pensare (altro che i "casperini" ridicoli del sopravvalutato, ridicolo film di Assayas, Personal Shopper!!!), come nei momenti in cui il fantasma si ritrova a strofinare ossessivamente lo stipite di una porta per recuperare antichi frammenti di messaggi lasciati dalla coppia nei momenti ormai irrimediabilmente persi di contagiosa felicità di coppia.
"A ghost story" strabilia per la capacità coreografica del regista di rappresentare l'ineluttabilità di una fine che appare irrimediabile: e le immagini d'isieme, in cui la tunica bianca appare protagonista discreta ma assoluta tra le mura spoglie di casa, tra le macerie, tra i corridoi dell'ospedale, danno vita a ritratti quasi pittorici che visivamente lasciano a bocca aperta.
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