Regia di Scott Cooper vedi scheda film
Hostiles ambienta in pieno crepuscolo del "west(ern)" una storia che parla di come la cattiveria, l'intolleranza ed il cinismo dell'uomo possano essere combattuti attraverso la presa di coscienza del diverso da sé.
È il 1892, e il Capitano di Fanteria ed ex eroe di guerra Joseph Blocker (Christian Bale) sta concludendo la sua carriera come carceriere a Fort Berringer, un accampamento nel New Mexico. Qui, tra gli altri, è tenuto da sette anni prigioniero Falco Giallo (Wes Studi), un ex capo Cheyenne. Questioni di mera immagine ed opportunità politica inducono il tenente colonnello McCowan (Peter Mullan), suo diretto superiore, ad intimargli di scortare questi, con tutta la sua famiglia, fino a quella che era stata la loro terra, in un villaggio nel lontano Montana. Nella squadra che parte con lui in un viaggio lungo centinaia di miglia e irto di pericoli, c'è chi resterà sconvolto la prima volta che ucciderà un uomo, chi sa già bene come si fa, e chi non avrà neanche il tempo per provarne l'ebbrezza. E c'è poi, aggregata al gruppo alla prima tappa, la giovane e sfortunata Rosalee (Rosamund Pike), trovata a vaneggiare dinanzi ai tre figli piccoli appena morti assieme al marito, uccisi dai Comanche durante un attacco alla loro casa.
Sceneggiato e diretto da Scott Cooper partendo da un vecchio soggetto di Donald Stewart, e recitato da uno stuolo di ottimi attori un buona forma, Hostiles ambienta in pieno crepuscolo del "west(ern)" una storia che parla di come la cattiveria, l'intolleranza ed il cinismo dell'uomo possano essere combattuti attraverso la presa di coscienza del diverso da sé. La strada verso il Montana, con il sopravvenire di difficoltà ed insidie, è un percorso che conduce a una fisiologica apertura, portando per la prima volta in vita sua l'incattivito Blocker a non guardare i 'pellerossa' sistematicamente come nemici, ma a riconoscergli la dignità di un pensiero, di una volontà, di una cultura.
Ma se questo percorso, parimenti a quello di Rosalee - che trovandosi in uno stato di disperazione estrema cerca nella condivisione dell'altrui sofferenza la forza per reagire -, è tutto sommato ben delineato, e se anche i bianchi che attraversano il film per solo mezzora lo fanno in maniera significativa (il sergente destinato alla forca interpretato da Ben Foster), a mancare di una vera e propria parabola personale nell'arco delle due ore abbondanti che dura è proprio il prigioniero Cheyenne, che, come tutti gli altri nativi che si affacciano sullo schermo, sembra più un ingranaggio funzionale alla trama che un personaggio a tutto tondo.
Se è una scelta, visto il messaggio solidale e antirazzista che si vuol veicolare, è paradossale. E fa storcere il naso.
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