Regia di Jason Flemyng vedi scheda film
Di comedia horror a sfondo vampiresco se ne ricordano diverse ma sono davvero poche quelle veramente riuscite, a partire dal (probabile) capostipite del genere, ovvero Per favore non mordermi sul collo del 1967 del Maestro Roman Polanski, L’Ammazzavampiri (1985) di Tom Holland o, molto più recentemente, il Vita da vampiro (What We Do in the shadows, 2014) della coppia neozelandese Taika Waititi & Jermaine Clement.
Eat Local purtroppo non fa parte di questo ristrettissimo gruppo.
Il film segna anche l’esordio dietro la macchina da presa del noto caratterista inglese Jason Fleming, attore sia al cinema, spesso in collaborazione con Guy Ritchie, che in Tv, ma il novello cineasta dimostra di avere ancora molta (troppa?) strada da fare.
Horror comedy che si rifà, in parte, al grande successo internazionale de L’alba dei morti dementi e che si avvicina a una forma di black-comedy con un forte accenno di umorismo tipicamente british, mette in scena in partenza una situazione insolita nel genere ma dalle buone potenzialità che non riescono però a essere sfruttate nel modo adeguato, mostrando evidenti limiti sia nella gestione dei personaggi che nelle dinamiche action fino a quelle più umoristiche, malevolmente amalgamate e prive di un’idea ben precisa su come muoversi, cadendo ben presto in confusione.
Il gruppo di vampiri è caratterizzato per iconografie (l’anziano leader del gruppo saggio e affidabile, quello ambizioso più giovane insofferente alle regole o all’imposizioni delle gerarchie, la “femme fatale” di buon cuore o il vampiro che si rifiuta di bere sangue umano), i militari invece in modo schematico come inetti e/o autoritari (coadiuvati dal solito rappresentante della religione macchiettistico e perennemente isterico) mentre gli altri umani o sono pericolosi omicida o improbabili canaglie, forzatamente simpatici per copione, ma comunque sempre delineati in modo indefinito o troppo generico.
Eat Local è in definitiva un film evanescente (anche per un budget irrisorio che lo qualifica un "pelino" sopra a un’opera amatoriale), incapace di imporsi a una sceneggiatura non solo derivativa ma fin tropo schematica e semplicistica, che si limita a molte (troppe) situazioni scontate e a qualche buona battuta o a qualche sviluppo relativamente interessante (vedi il finale con lo spot televisivo della ditta farmaceutica) ma che sopravvive a se stesso grazie alle improvvisazioni del suo regista e, soprattutto, dei suoi interpreti tanto da definire la pellicola come una simpatica passarelle per attori inglesi in cerca di visibilità con nomi che vanno da Dexter Fletcher ad Annette Crosby e proseguendo poi con Charlie Cox, Tony Curran, Freeman Agyeman, Adrian Bowen, Mackenzie Crook, Lukaz Leong e Ruth Jones.
VOTO: 4,5
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