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Suburbicon

Regia di George Clooney vedi scheda film

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Gangs 87

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La recensione su Suburbicon

di Gangs 87
7 stelle

Che dietro tutto questo ci fosse la mano, o per meglio dire la penna, dei fratelli Coen, l'ho scoperto solo dopo la visione della pellicola in questione; e, solo con la comparsa dei titoli di coda, ho notato, con non poco stupore, che la regia è di George Clooney. Ora, considerando il fatto che, non devono essere simpatie o antipatie varie, a condizionare un giudizio, tralascerò (almeno in parte) la premessa di cui sopra e analizzerò le sensazioni scaturite dalla visione della pellicola in esame.

 

Se dovessi partire dagli ultimi frame, ricordo che la mia fronte era un tantino corrucciata, vuoi per la velocità con cui si susseguono tutta una serie di eventi, negli ultimi minuti del film; vuoi anche per la positività che trasmette, l'ultima inquadratura, che anticipa i titoli di coda, che ho forse in parte compreso ma che non ho trovato necessaria. Se l'intento del regista, era quello di mettere in mostra il netto contrasto tra il perbenismo che si persegue inizialmente e tutta la cupidigia delle anime che popolano quello che sembra un paese perfetto, c'è da fargli notare che ha fatto un'inutile fatica in più. Questo concetto era piuttosto chiaro già dopo la visione della prima metà del film stesso. Continuare a voler rimarcare il buon senso, meglio noto come perbenismo, che sembra aleggiare per tutta la durata della pellicola, di certo non fa bene al film stesso. Come bene non fanno le continue incursioni sceniche nella travagliata vita della famiglia di colore, maltrattata senza sosta dai vicini insofferenti. Non servono esplicite prese di posizione quando è ben chiaro quello che la trama vuole mettere in mostra.

 

Ma, già dalle prime scene, risulta chiaro che, l’esagerazione è e sarà il punto focale di tutta la pellicola. Considerando l’impatto che il video promozionale del “paese dei balocchi”, Suburbicon appunto, sembra somigliare non poco, ai video di propaganda nazista dove si pubblicizzavano i campi di concentramento che da orribili prigioni finivano per essere decritti come villaggi vacanza. E non riesco a nascondere quel certo fastidio che ho provato nel vedere queste specifiche scene; considerando il fatto che, l’intento del regista, era proprio quello, a mio avviso, di creare le condizioni necessarie affinché la percezione di ciò che si vede fosse amplificata.

 

Oltre a questi estremi atti, c'è da dire che la pellicola ha una fotografia splendida. L'ambientazione, già suggestiva di suo, riprende ampiamente gli anni 50, quelli del sogno americano per intenderci, e partendo dai colori pastello, trasforma la cromia fino ad esaltare solo il buio e i colori scuri, senza però assopire quella sensazione di calore, caratteristica tipica delle ambientazione dell’epoca, il che rende il tutto ancora più “inquietante” e senz’altro più coinvolgente.

 

Il cast è ben assortito. Si parte dalla bravura di Juliane Moore, che si sdoppia nel ruolo delle gemelle Rose e Margaret, catalizzando l’attenzione ogni qual volta entra in scena. Bravissimo anche il piccolo Noah Jupe, che riesce a tenere testa ai due attori protagonisti. Matt Damon, nel ruolo del “furbo ma non troppo”, sembra calzarci a pennello. Grazie anche alla faccia che si ritrova, quella da bravo ragazzo, dallo guardo ingenuo ma non innocuo.

 

Sostanzialmente un buon film. Che riesce a stazionare nella mente dello spettatore; suscitando curiosità; con una rappresentazione particolare, che lo differenzia dai film di simil-genere. Peccato per la continua presa di posizione, di cui sopra, che lo rende, in certi casi, stucchevole.

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