Regia di Ben Safdie, Joshua Safdie vedi scheda film
Guardando il nuovo film dei fratelli Safdie, non si può fare a meno di pensare a Martin Scorsese, e a come il suo cinema abbia contribuito a formare l’immaginario cinematografico della città di New York. Come succedeva in “Taxi Driver” anche la grande mela ritratta dai due registi è una specie di far west metropolitano in cui ogni uomo è lupo all’altro uomo e dove, alla stregua di quanto accadeva a Travis Bickle, anche il personaggio interpretato da Robert Pattison si ritrova insonne e solitario a girovagare per le strade di una città ombrosa e ostile. Rispetto ad altre rappresentazioni della realtà newyorkese quella di “Good Time” mantiene un rapporto con il proprio entroterra (urbano) simile a quello del capolavoro scorsesiano: i Safdie, infatti, filmano la città con la stessa dedizione che si riserva all’oggetto amato senza impedirsi di trasferire sullo schermo la rabbia e la repulsione per il degrado umano del contesto umano e relazionale. Ad essere aggiornato è semmai l’attitudine delle persone ed i ritmi (frenetici) che scandiscono le giornate, e soprattutto, le notti americane. Così, se Bickle, dall'alto dei suoi principi moralizzatori finiva comunque per funzionare come principio ordinatore di una società caotica e corrotta, il rapinatore interpretato da Pattison ne diventa al contrario il detonatore pronto a farla esplodere. Movimentata dai sintetizzatori di Oneohtrix Point Never e sporcata dalle luci psichedeliche di Sean Price Williams la New York dei fratelli Safdie è una gabbia fisica e mentale che bracca i personaggi, colorandone i corpi e le facce con le colpe dei suoi peccati peggiori. Senza un attimo di tregua, “Good Time” arriva alla fine consegnando allo spettatore uno dei film più belli della stagione e un Robert Pattinson al meglio delle sue possibilità.
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