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La douleur

Regia di Emmanuel Finkiel vedi scheda film

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La recensione su La douleur

di alan smithee
4 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

Da un romanzo autobiografico di Marguerite Duras, ricavato e sviluppato dagli appunti di un diario rimasto dimenticato per anni, La douleur racconta dell’attesa della stessa Marguerite, la quale, mentre collaborava, durante il corso del Secondo conflitto mondiale, con la pubblicazione clandestina Libres - che informava i parenti dei deportati in Germania sulla drammatica sorte dei congiunti - si affannava lei stessa a ricevere notizie circa il destino occorso al marito, Robert Antelme, una delle principali fugure della resistenza francese all’avanzata nazista, arrestato nel giugno del 1944 e deportato nel campo di concentramento di Dachau.

Il libro, e di conseguenza il film del regista Emmanuel Finkiel, si concentra sullo studio introspettivo della protagonista, tra l’impeto di darsi con ogni strategia alla salvaguardia dei cittadini deportati, e l’ansia riguardo ad una propria situazione personale che, a differenza di alcune altre di conoscenti, non pare avere mai una soluzione.

Entrata, non si sa bene se per motivazioni umane o per un innamoramento dell’ufficiale, nelle grazie di un commissario di regime (un sempre più assai precocemente imbolsito e straniato Benoit Magimel), la donna cerca in tutti i modi di ottenere notizie almeno sul fatto che il marito si trovi ancora in vita. Ma le risposte tardano, ed anche gli esponenti più vicini al consorte (quello di spicco è interpretato da Benjamin Biolay, il Benicio Del Toro francese) appaiono sempre più evasivi, quasi reticenti, in grado, con il loro atteggiamento tentennante, di mettere in testa alla donna una situazione irreparabile di tragedia che la spinge in una depressione ed una disperazione difficili da reggere e governare.

L’episodio, tra i cruciali nella complicata e variegata esistenza della scrittrice e regista francese, nata a Saigon per via dell’occupazione dei genitori (L’amante è un’altra sua opera autobiografica notissima, ambientata ai tempi del suo soggiorno in loco, trasposta al cinema da Annaud nei ’90 con un certo riscontro di pubblico), e tornata in Francia da adulta divenendo uno degli emblemi della resistenza durante l’occupazione nazista, trova, nell’adattamento volenteroso di Finkiel, uno studio molto sfaccettato dell’elaborazione del dolore, ma anche i limiti insiti addentro ad una interprete impegnata e ispirata come l’ex modella Melanie Thierry, qui probabilmente coinvolta ad impersonare un personaggio davvero troppo complicato per risultare consono alle corde recitative della pur valida bellissima interprete: che si cruccia fumando una sigaretta dietro l’altra (fuma, fuma, fuma sempre la nostra straziata protagonista, e la circostanza si tramuta in una vera e propria ossessione, che, anche qualora ciò rappresenti il reale atteggiamento dell'autrice, nella trasposizione si traduce in una vera e propria esasperazione),  senza tuttavia riuscire quasi mai a renderci partecipi di un dolore che rimane esterno, separato, acuito da un’attesa che il film non riesce mai e poi mai a descrivere come realmente spasmodica ed agosciosa.

Anche l’idea di lasciare completamente fuori campo la figura centrale del marito “partigiano”, finisce solo per conferire al film la conferma di un sospetto di offuscamento rispetto alla genuinità dell’opera letteraria, anche quando l’io narrante cita e recita pezzi tratti dal romanzo originario.

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