Regia di Pablo Berger vedi scheda film
L'ambizione è quella di creare un'opera che salti dalla commedia al dramma e dal thriller al fantasy cercando di cadere in piedi: un'operazione difficilissima cui Berger si accosta con l'irruenza di un vulcano in eruzione, finendo per montare una maionese impazzita satura di (troppi) indirizzi e suggestioni.
Carmen ama ballare, uscire e vivere una vita attiva, ma da quando ha sposato Carlos non fa più nulla, relegata in casa per badare alla figlia Toñi e cucinare pasti che lui sistematicamente critica con i modi rozzi di un patriarca incolto. Carlos fa il muratore, e la sua vita è il Real Madrid, tanto da portarsi radiolina e sciarpetta persino al matrimonio del nipote di lei, detestato perché reo di averlo organizzato in concomitanza con la finale di Copa del Re contro il Barcellona, e tanto da rischiare pure di mandarlo in fumo per colpa di un gol di Messi.
Avvelenato per la situazione e per l'esito della partita, durante la cena che segue alla cerimonia si offre volontario come cavia per un esperimento di ipnosi condotto da Pepe, il cugino di Carmen, con il chiaro intento di boicottarlo: ci riesce, ma da quel momento non è più lo stesso.
Preoccupata dalle gentilezze che dall'indomani mattina l'uomo comincia a prestarle, assolutamente lontane dal suo repertorio abituale fatto di ordini e prepotenza, Carmen, sentito Pepe, chiede aiuto al maestro ipnotista di questi, il dottor Fumetti, il quale, dai sintomi esposti, deduce che Carlos ha capacità extrasensoriali nascoste che hanno permesso ad uno spirito che aleggiava nell'aria di entrare nel suo corpo durante il tentativo di ipnosi: bisognerà capire di chi sia, e cercare di scacciarlo utilizzando un oggetto a lui appartenuto.
Dopo aver rivisitato i fratelli Grimm in Blancaneves, nel suo terzo film Pablo Berger mantiene il tono fiabesco sin dal titolo, Abracadabra. L'ambizione è quella di creare un'opera che salti dalla commedia al dramma e dal thriller al fantasy cercando di cadere in piedi - e magari fare anche l'inchino: un'operazione difficilissima cui Berger si accosta con l'irruenza di un vulcano in eruzione, spingendo sull'acceleratore di uno humor nero, grottesco e barocco, facendosi volutamente beffe della verosimiglianza, e attingendo ad una tavolozza di colori accesissimi e ad un variegato campionario musicale (che va da Bach a Strauss, dai Goblin di Profondo Rosso alla Steve Miller Band del brano che dà il titolo al film, fino ad arrivare alla versione spagnola del Ballo del Qua Qua), finendo per montare una maionese impazzita satura di (troppi) indirizzi e suggestioni.
L'inchino proprio non riesce, perché i mille cambi di tono danno alla lunga un senso di frammentazione che limita la resa dal punto di vista della partecipazione emotiva, ma la caduta in piedi, quella sì, perché disseminate come mine nel caleidoscopico corpo di un film convulso e cangiante, vi sono gag e situazioni assurde e folli il giusto per garantire una discreta quantità di abbondanti risate.
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