Regia di Michael Curtiz vedi scheda film
Drammatico e sentimentale, il cult di Michael Curtiz è un capolavoro che rimane negli annali, specie per un Humphrey Bogart che diviene icona.
Nella Casablanca della Seconda Guerra Mondiale esiste una zona neutrale, quella “Francia non occupata” in cui convivono ladri, assassini, taglieggiatori, disperati, esuli e patrioti. Il cafè americain di Rick (Humphrey Bogart), un passato da combattente sempre a favore degli oppressi, è il posto più frequentato di questa parte di Casablanca. Qui una sera arriva il faccendiere Ugarte (Peter Lorre) che, braccato dalla polizia per aver rubato due lettere di transito ad altrettanti soldati tedeschi, finiti inoltre uccisi, consegna a Rick, una sorta di intoccabile a Casablanca, i due importanti documenti. L’arrivo dell’ex fiamma di Rick, Ilde, con il consorte Victor Laszlo, in cerca del modo per partire per il Portogallo, da cui esiliare verso gli USA, toglie a Rick la proverbiale imperturbabilità.
Al contempo drammatico e sentimentale, “Casablanca” è certamente un titolo che non può mancare nella filmografia di chi ama il cinema. Il film ha un grande valore artistico e più ancora storico. La ricostruzione del clima nel Marocco degli anni ’40, in un’epoca di forte incertezza non solo politica, è rappresentato da Michael Curtiz in maniera impeccabile, nonostante un allestimento scenico non esaltante (evidenti le ricostruzioni in studio, specie degli interni del locale di Rick). Curtiz, con gli sceneggiatori Julius e Philip Epstein e Howard Koch, riadatta il soggetto teatrale di Murray Burnett e Joan Alison, facendone un cult basato sostanzialmente su due fattori: la clamorosa caratterizzazione dei personaggi e la compattezza dei dialoghi, che non risentono affatto del logorio del tempo. In particolare il personaggio di Rick (un leggendario Humphrey Bogart) è caratterizzato bene fin dalla presenza scenica: smoking bianco, sigaretta perennemente tra le dita, capello impomatato, faccia da duro, seppur di quella durezza figlia dell’ineluttabilità della vita. Insieme a Bogart, la fulgida Ingrid Bergman, fascino nordico e fragilità malcelata, contesa da Rick e dal suo nemico in amore Victor Laszlo, l’esule cecoslovacco interpretato da Paul Henreid. Il triangolo amoroso, qui è anche un triangolo vitale: le lettere di transito che Ugarte (cammeo folgorante di Peter Lorre) lascia nelle mani di Rick rappresentano un goloso passepartout, nonché l’elemento chiave di una vicenda che dallo stile drammatico vira con sempre maggiore evidenza verso un finale in cui, tolta la maschera ai protagonisti, le onnipresenti note della meravigliosa “As time goes by” accompagnano il più memorabile dei finali.
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