Regia di Brian Fee vedi scheda film
Dopo un primo episodio che riusciva miracolosamente a virare a metà strada da un effettato giocattolone verso un discorso epico sulla mitologia americana della frontiera e del viaggio ed un secondo capitolo buffonesco disastroso (che personalmente ribattezzerei sCars), la Pixar ritorna sul proprio brand meno emozionale ma più commerciale e decide di puntare sul sicuro.
La storia infatti cancella totalmente il secondo film come qualcosa di non pervenuto, minimizza il ruolo dei vecchi comprimari e si incentra su un canovaccio classico molto americano (la saga di Cars è principalmente un omaggio nostalgico all’immaginario dell’(old) america), quello del riscatto dopo la caduta, eliminando la risata facile che non è nelle loro corde (se uno la cerca si reca direttamente a vedere i film della Illumination, non un loro clone spuntato) e limitando al minimo i rischi.
I contenuti più riusciti infatti sono riassemblaggi di concetti già proposti in passato dallo studio: oltre ai già citati elementi nostalgici presenti nel primo Cars (qui ottimizzati nell’incontro nel locale country dei vecchi miti automobilistici del passato), c’è il tema del saper riscrivere il proprio futuro (come in Up) e soprattutto quello del riuscire ad accettare gli inevitabili cambiamenti dovuti al tempo che passa (e qui il riferimento – ammorbidito - è l’ inarrivabile finale di Toy Story 3). Anche il discorso autoreferenziale su Cars in quanto marchio (a livello di merchandise è il prodotto di punta di casa Pixar) era già stato trattato fin dai tempi di Toy Story 2.
Resta comunque un film dignitoso, con una scrittura senza troppi giri a vuoto (se si eccettua lo scialbo siparietto di Thunderland) e la solita eccellente realizzazione tecnica, consapevole di non saper più davvero stupire ma anche attento a sfruttare senza dilapidare il proprio glorioso passato. Tutto sommato possiamo ritenerci soddisfatti.
E il cortometraggio allegato, Lou, è probabilmente il loro migliore dal 2010.
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