Regia di Martin McDonagh vedi scheda film
Advertising company vs police station, three billboards vs three letters. Un film a tratti sorpendente e nel complesso semplicissimo, ma profondo, e sincero e limpido, m'ambiguo, e retorico; eastwood-dürrenmattiano (un cazzo di classico, insomma, nel bene e nel male).
Paradossi (spazio)temporali cinematografici: ecco che Martin, il minore dei due fratelli McDonagh, raggiunge John (“the Guard”, “Calvary”, “War on EveryOne”) Michael: pur essendo di tre anni più giovane, aveva iniziato a dirigere i propri script, per quanto concerne i lungometraggi, altrettanti anni prima (e ancor più, se si tiene conto nell'operazione della sua carriera da commediografo, iniziata a metà anni '90) rispetto a suo fratello maggiore, ma ne avrebbe raggiunte le capacità espressive solo dopo, e proprio con questo - licenziato a ben 5 anni di distanza dalla sua opera immediatamente precedente - “3BbOsE,M” ---[avendo ben presente in mente il fatto che “War On EveryOne” può essere contemplato come un assestamento creativo per il curriculum dell'altro tanto quanto invece per l'uno il film con 3 meravigliosi attori quali Frances McDormand (Coen bros., "Olive Kitteridge"), Woody Harrelson ("Natural Born Killers", "the SunChaser", "the People vs. Larry Flint", "the Thin Red Line", "A Prairie Home Companion", "the Walker", "No Country for Old Men", "7Pp", "True Detective -1") e Sam Rockwell ("Confessions of a Dangerous Mind", "the HitchHiker's Guide to the Galaxy", "the Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford", "Moon", "GentleMen Broncos", "7Pp", e finalmente la consacrazione mainstream) – i cui personaggi, rispettivamente, rimangono identici dall'inizio alla fine, lei, riescono ad esprimere (grazie all'innesco stampato a inchiostro) ciò che veramente sono (senza cambiare, ma venendo allo scoperto) in una cata-li/tar-tica e incandescente epifania autoestinguente, l'uno, e subiscono una incontrollabile, radicale, impressionante mutazione epigenetica (grazie all'innesco scritto a penna), l'altro – deve considerarsi un oggettivo salto qualitativo]--- che, fatte le debite proporzioni, può essere inquadrato all'interno della sua pur breve filmografia come il suo “Jackie Brown”, ovvero il film della maturità: morale (quel che non riusciva ad essere, pur ingenuamente/furbescamente/grezzamente ricercandola incompiutamente, “In Bruges”) ed espressiva (già raggiunta ma già storpiata/stroppiata da “Seven Psychopaths”).
Altri interpreti: Abbie Cornish, Caleb Landry Jones (bravissimo, in un carattere antitetico rispetto a quello messo in scena in “War on EveryOne”, in cui se la vede peggio, e non stereoscopicamente), John Hawkes (dritto dritto dallo sprofondo di “Winter's Bone” e “Martha Marcy May Marlene”, e quindi e perciò all'opposto di “Me and You and Everyone We Know” e “the Sessions”), Peter Dinklage (“Game of Thrones”; cambio di nano rispetto a “In Bruges”), Željko Ivanek (da comparsa in “In Bruges” a spalla: criminale in “Seven Psychopaths”, forza dell'ordine costituito in “3BbOsE,M”), Clarke Peters, Lucas Hedges, Kerry Condon (“Luck”, “Better Call Saul”), Samara Weaving, Kathryn Newton...
Fotografia: Ben Davis (“Seven Psychopaths”). Montaggio: Jon Gregory (“In Bruges”). Musiche: Carter Burwell (7Pp/iB).
Playlist: Joan Baez, Monsters of Folk (a commento della scena aclockworkorangesca in piano sequenza di due minuti), Abba, Renee Fleming [“the Last Rose of Summer” (tradizionale irlandese) da “Martha” di F. von Flotow] e Townes Van Zandt (ormai imprescindibile nella filmografia dei fratelli McDonagh entrambi, e inoltre recentemente ben utilizzato in “Hell or High Water”) con “BuckSkin Stallion Blues” (poi ripresa nella versione di Amy Annelle).
Advertising company vs police station, three billboards vs three letters.
Un film a tratti sorpendente e nel complesso semplicissimo, ma profondo, e sincero e limpido, m'ambiguo, e retorico; eastwood-dürrenmattiano (un cazzo di classico, insomma, nel bene e nel male).
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