Regia di Martin McDonagh vedi scheda film
Pronto per gli Oscar, dopo i molti e quasi unanimi apprezzamenti della critica e del pubblico.
Di che cosa parla
Erano passati sette mesi dalla notte in cui Angela Hayes, uscita di casa sbattendo la porta, furiosa con Mildred, era stata aggredita, violentata con ferocia inaudita e lasciata morire tra le fiamme e le sofferenze più atroci. Il crimine era avvenuto lungo la strada poco frequentata che conduceva a Ebbing, oscura cittadina del Missouri. Sette mesi tremendi per Mildred, sua madre, che quella sera le aveva negato l’uso della propria auto, nella speranza che quella figlia riottosa se ne stesse finalmente a casa, almeno per una volta, lontana dalle pessime amicizie che la stavano rovinando. Angela, purtroppo, aveva accettato la sfida materna ed era uscita a piedi, incontrando per strada i propri sadici aguzzini. Al dolore della madre, ovviamente terribile, si aggiungeva, per colmo di strazio, il più profondo senso di colpa che, forse, sarebbe stato meno acuto se le indagini non si fossero bloccate troppo presto senza alcun risultato. Mildred (Frances McDormand) ne attribuiva la responsabilità al modo superficiale con cui l’ufficio di polizia le aveva condotte, e in particolare allo sceriffo Bill Willoughby (Woody Harrelson), che insieme al suo vice razzista e picchiatore di neri, Jason Dixon (Sam Rockwell), dirigeva quell’ufficio.
Tre Manifesti
Per forzare la ripresa delle indagini, Mildred aveva deciso di affiggere tre manifesti che, piazzati lungo la strada verso Ebbing, riportassero alla memoria di tutti il fatto atroce, informando clamorosamente l’opinione pubblica che nulla era scaturito dall’inchiesta finora condotta, chiedendone conto allo sceriffo Bill. La decisione di Mildred era stata a lungo meditata e preparata con cura affinché fosse legalmente inattaccabile ed economicamente sostenibile anche da lei, che, abbandonata dal marito (affaccendato amante di una fanciulla giovanissima), doveva provvedere, con le magre entrate della sua botteguccia di souvenir e cianfrusaglie, oltre che a sopravvivere, anche a far vivere e studiare il figlio più piccolo, silenzioso testimone dell’ultima violenta scenata fra la madre e la sorella.
Aveva avuto ragione, infine: del caso si parlava di nuovo, grazie alla sua denuncia; l’arrivo della televisione lo stava testimoniando. Mildred non aveva previsto, però, che l’effetto mediatico l’avrebbe presto travolta con straordinaria violenza.
La popolazione di Ebbing non era spregiudicata come quella delle grandi metropoli del nord degli States: era legata alle proprie istituzioni, laiche o religiose, che ne rassicuravano perbenismo e ipocrisia; era quella dell’America profonda, dei bianchi che ancora non avevano accettato la conclusione della Guerra Civile e che continuavano a rimpiangere i vecchi tempi della schiavitù oltre che dell’apartheid, sospettosi di ogni novità e forse speranzosi di riportare indietro l’estensione ai neri dei diritti civili.
Attaccata dai suoi concittadini e dalla polizia, Mildred non si era persa d’animo, però, e aveva deciso di continuare la propria lotta rispondendo, colpo su colpo, a qualsiasi tentativo di intorbidare le acque per occultare, ancora una volta, la verità…
Siamo agli inizi del film e qui si ferma la mia narrazione, nella convinzione che i suoi sviluppi, ricchi di sorprese e di colpi di scena, vadano visti e gustati senza conoscerne prima le svolte narrative.
Il film
Il film, nonostante le tragiche premesse, rivela da subito la sua connotazione prevalentemente umoristica, come se il contenuto doloroso fosse filtrato dallo sguardo razionale e curioso di un narratore “pulp”, capace di cogliere gli aspetti grotteschi dei comportamenti diffusi fra i cittadini di Ebbing, luogo inventato, ma quanto mai “vero”, in diversa misura, in ciascun luogo del pianeta, microcosmo emblematico delle paure immaginarie e profonde di tutti noi, ma anche delle aspirazioni comuni ai valori della solidarietà e dell’umana comprensione. Nessuno è completamente buono, o completamente perfido, in questo film: le angosce spesso impediscono ai numerosi personaggi di vedere e di accettare l’altro (e persino se stessi) nella sua peculiare diversità, che sia nero, omosessuale o nano. Non per nulla la parola “amore”, nel suo significato universale, è contenuta più volte anche ironicamente nelle raccomandazioni estreme dello sceriffo Bill, che solo in punto di morte, ne aveva riconosciuto la fondamentale importanza, nella vita e nel lavoro. La stessa figura di Mildred, personaggio positivo, verso cui, grazie anche alla sublime interpretazione di Frances McDormand, va tutta la nostra più profonda partecipazione emotiva, non è priva di aspetti violenti e vendicativi: nessuno, come si sa, è perfetto, ma tutti dovrebbero perfezionare la propria sensibilità, per comprendere il dolore degli altri e finalmente condividerlo.
Il film è opera dalla sceneggiatura impeccabile, molto precisa nel disegno dei personaggi e delle loro interrelazioni, velocemente delineate con pochi asciutti tratti sufficienti a rendere vivo e credibile il complesso quadro umano e ambientale della vicenda. Film, dunque, da vedere sicuramente del quale vorrei ricordare, oltre alla ricchezza delle situazioni umane che offre alla nostra interpretazione, la grandezza degli attori, che affiancano l’eccezionale Mildred di Francis Mc Dormand, senza sfigurare, dal primo all’ultimo.
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Martin McDonagh, (nato a Londra nel 1970 da genitori irlandesi), il regista che ha sceneggiato e diretto questo film, è molto noto anche come regista e autore teatrale nell’intero Regno Unito, dove la sua vasta produzione è stata apprezzata ovunque e ha ottenuto innumerevoli riconoscimenti. Il suo esordio nel mondo del cinema è relativamente recente: nel 2006 aveva diretto il suo primo lungometraggio, che non era passato inosservato e che molti di noi avevano visto e apprezzato: In Bruges- La coscienza dell’assassino; mentre del 2012 è 7 Psicopatici, il suo secondo “giallo”, poco conosciuto da queste parti.
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L'ho visto anche io domenica (e ho avuto la fortuna di vederlo in lingua originale e in una sala finalmente piena di spettatori). E' un'opera straordinaria che mi ha davvero riconciliato con il cinema e riacceso la voglia di andare a vederlo in sala (che per me è sul modo migliore per gustarselo davvero fino in fondo. Ho apprezzato molto quello che tu ci hai scritto sopra perchè sei riuscita a rendere palesi tutti gli aspetti che rendono bella e importante questa pellicola (spero davvero che spinga chi la legge ad andare a vederla e ad apprezzarla quanto merita). Sì.... perefetto: "Nessuno è completamente buono, o completamente perfido, in questo film: le angosce spesso impediscono ai numerosi personaggi di vedere e di accettare l’altro (e persino se stessi) nella sua peculiare diversità, che sia nero, omosessuale o nano" e quel finale aperto è avvero la ciliegina sulla torta
Qui, in lingua originale, non esisteva. Beato te! In compenso ho visto anch'io la sala abbastanza affollata ed era giovedì, appena uscito (mi occorre sempre un po' di riflessione prima di scrivere) e ho percepito, almeno a pelle, gli umori positivi della sala. Grazie delle tue parole lusinghiere nei confronti di questa recensione faticosa, per la complessità dei temi che il regista ci propone. Finale straordinario, che è anche un invito a ripensare a tutto il film, a quello che hai creduto di capire e che forse potresti rimettere in discussione; a quello che non credevi di aver capito, e che invece avevi capito benissimo... forse. Più ci penso, più mi rendo conto di aver visto un film magnifico: grazie della condivisione, di cui mi sento veramente onorata. Un abbraccio, Valerio!
Anche nella sala dove ero io è stata accolta più che bene (alla fine della proiezione ci è scappato pure l'applauso! Sì... un film magnifico (la conferma di un talento che le sue due precedenti fatiche avevano già fatto intuire e per quel che riguarda la tua recensione è decisamente all'altezza della pellicola
me lo sono procurato sottotitolato,ma se e' piaciuto a uno come Valerio e a te.....dovrei accodarmi,vediamo quanti premi riuscira' a ottenere ....e' un'opera che li merita e tu lo hai descritto molto bene,grazie Laulilla.
Vedendolo, ti farai un tuo giudizio, senza accodarti! Spero che qualche Oscar riconosca la sua qualità, che secondo il parere non solo mio è indiscutibile. Grazie del commento e del passaggio, Ezio. Ciao :)
Mi trovo sulla tua stessa lunghezza per quanto riguarda il giudizio, mi sembra un ottimo Film, molto ben riuscito anche se qualche inverosimiglianza la si potrebbe trovare (La conversione di Dixon è un po' troppo veloce), ma in termini di coerenza interna della storia secondo me funziona. Proprio il registro umoristico che citi anche tu mi ha fatto spesso pensare a Fargo dei Come, oltre che la presenza come protagonista della moglie e icona di Joel Coen. Insomma un esito davvero brillante, complimenti per la recensione. Ciao
Ciao, Stefano e grazie del commento. Personalmente noto poche somiglianze col cinema dei Coen e, anche con Fargo, se non per la presenza di lei, assai lontana, per altro dalla poliziotta tranquilla e piena di pacato buon senso di Fargo. Vedo che invece molti ne hanno dato per scontata l'ascendenza registica. In un film come questo, molto sfuggente a qualsiasi interpretazione netta e definitiva, forse, non è neppure da escludere. In questi giorni mi sono rivista In Bruges (di cui sto scrivendo) e ho visto per la prima volta (fortunosamente sono riuscita a trovarlo) 7 psicopatici. Credo, anche alla luce di questi due precedenti film, che esista una continuità "filosofica", che cercherò di mettere in luce, se ci riuscirò, nei miei prossimi scritti, ma non vorrei anticipare nulla perché non ne sono certissima e ho bisogno di pensarci ancora. Ottimo film, invece: su questo sono molto d'accordo. Un saluto. Lilli
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