Regia di Martin McDonagh vedi scheda film
Se devo trovare un vero pregio per questo “Three Billboards on Ebbing, Missouri” (a parte il titolo, pregevolmente non stravolto dalla distribuzione italiana, una volta tanto), a parte la magnifica prova del trio di testa McDormand/Harrelson/Rockwell, è la capacità di inoculare un sano e intelligente humor dentro una storia decisamente sanguigna e drammatica. Forse, chissà, è frutto della sana contaminazione tra una visione inglese delle cose (inglese è il regista Martin McDonagh) e la concezione tutta americana, benché efficacemente modernizzata, di come sia messa oggi la società contemporanea.
Per il resto, di questo intelligente, incazzosissimo, premiatissimo, vistissimo film alla rovescia dove l’eroina è in realtà la prima, vera cattiva del gruppo, (“La rabbia genera rabbia, l’ho letto su un libro; anzi, su un segnalibro…”) devo dire di aver trovato grossolanamente cucita la trama , con “salti evolutivi” improbabili (e per di più ben telefonati, laddove il “terribile” poliziotto Dixon/Rockwell è disegnato fin dall’inizio con sospettosa e stonata bonarietà), o colpi di scena troppo banali (il nuovo sceriffo di colore che piove all’improvviso) e altrettanto grossolanamente sbagliare in pieno la tempistica con cui gli snodi della vicenda vengono “recepiti” dai vari ambiti della narrazione, venendo così a mancare quella fluidità di un racconto che, essendo concentrato nello spazio temporale di poche settimane, avrebbe avuto bisogno di più mordente, di più brio, e, diciamolo pure, di più elementare precisione.
Ben indovinati, invece, i piccoli universi paralleli che affiancano la scena: l’ex marito della protagonista e la sua giovanissima amante, il ménage familiare dello sceriffo (anche qui, però, quanta retorica di massa…), il nano reggiscale e il rosso pubblicitario, la mammina con la tartaruga in grembo, scampata dalle ceneri di un “MIssissippi Burning”… Mentre insopportabili sono invece alcuni intermezzi al limite del Disneyano, con l’ungulato femmina che bruca tranquillamente nel prato accompagnando la furiosa malinconia della protagonista.
Un buon finale, devo dire (senza spoilerare: un finale dove, placati un po’ gli animi da un afflato di speranza, la velenosità della rabbia incontra il suo giusto antidoto), ma un film che lascia molti punti interrogativi, se non altro in relazione a quel successo di pubblico e di critica dal quale personalmente, in buona parte, preferisco dissociarmi.
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