Regia di Martin McDonagh vedi scheda film
Una storia forte e ottimamente confezionata, in linea con il clima da profondo sud di un’America che è sempre ferma lì, al negro sporco e cattivo da torturare, allo stupro facile di ragazzotte imprudenti che passano sole di sera su strade solitarie, a stazioni di polizia da cui è meglio girare alla larga.
Mildred Hayes (Frances McDormand) ha dato fondo a tutti i suoi risparmi per pagare all’agenzia pubblicitaria tre enormi cartelloni da tenere in gran mostra per un anno sulla statale. Devono ricordare allo sceriffo Willoughby che la figlia è stata stuprata, uccisa e il corpo carbonizzato da sette mesi. Ma nessuno è stato arrestato.
Quella figlia un po’ strafottente e ribelle le aveva chiesto la macchina quella sera, ma lei no, non gliel’aveva data, litigavano spesso loro due, classica famiglia disfunzionale con madre nevrotizzata, padre che se la fa con una diciannovenne, figlio maschio mammone e femmina ribelle, solite storie di normalità e follia in interni piccolo borghesi dell’America oggi (e nella vecchia Europa non va meglio).
Ma uno stupro, la morte, le indagini ferme a zero, la rimozione collettiva, questa è roba seria. E il rimorso pure.
Si può vivere con un rimorso così? Mildred ha lo sguardo dell’animale ferito, chiusa nel suo isolamento esistenziale vive per un unico scopo, trovare il massacratore di Angela.
Spigolosa, determinata, vigorosa e viscerale, in lotta col mondo e con i suoi sensi di colpa, Mildred entra nell’agenzia pubblicitaria che dovrà stamparle i tre manifesti come un pistolero in un saloon.
Tutto quello che farà, fino alle molotov contro la stazione di polizia, passando per il buco col trapano sul pollice del dentista grassone che l’ha fatta incazzare, è la sua guerra personale senza esclusione di colpi, sa di essere sola e non sta a leccarsi le ferite.
Tre enormi cartelloni rosso sangue con poche parole a caratteri cubitali appaiono così su quella vecchia strada dove, le dice il ragazzo dell’agenzia, passano in pochi, solo quelli della città e chi ha sbagliato direzione.
Ma Mildred non è lì per la pubblicità, ha un messaggio da dare e sa a chi deve arrivare. E infatti il messaggio arriva, e il primo a strabuzzare gli occhi è l’agente Dixon mentre fa il suo giro di ronda.
1.Violentata mentre moriva
2.Ora vieni sceriffo Willoughby?
3.Ancora nessun arresto?
Dixon (Sam Rockwell) è il balordo razzista che con lei e lo sceriffo William Willoughby (Woody Harrelson), malato di cancro al pancreas, forma il terzetto vincente di quest’opera terza di Martin McDonagh, regista-sceneggiatore per cui molti auspicano il Leone d’Oro a Venezia74.
Three Billboards Outside Ebbing, Missouri è una storia forte e ottimamente confezionata, in linea con il clima da profondo sud di un’America che è sempre ferma lì, al negro sporco e cattivo da torturare, allo stupro facile di ragazzotte imprudenti che passano sole di sera su strade solitarie, a stazioni di polizia da cui è meglio girare alla larga.
“Mia figlia Angela è stata ammazzata sette mesi fa, la polizia è troppo impegnata a torturare la gente di colore per risolvere un crimine vero” sta dicendo Mildred all’inviata di Buongiorno Missouri che la sta intervistando.
Più tardi, quando il caso prenderà la deriva che prende e invece di scattare la solidarietà sociale scatterà la demonizzazione della donna che rompe le scatole al potere e si è messa contro l’ adorato sceriffo, per di più malato, il tono sarà molto diverso: “Non finisce proprio un cazzo brutta ritardata, questo è solo l’inizio. Manda questo, stronza, sulla tua trasmissione di merda Buongiorno Missouri”.
I media sono schierati col potere, come prevedibile, quei cartelloni danno fastidio a tutti, come prevedibile e il lancio di lattine sull’auto di Mildred davanti alla scuola del figlio è prevedibile.
Quello che però non fa parte del copione è sempre la reazione della donna, e un calcio ben assestato nelle parti basse ristabilisce l’ordine.
Prevedibile anche che prima o poi i tre cartelloni brucino in tre enormi falò che, vista l’ambientazione, ricordano molto da vicino le imprese del Ku Klux Clan.
Ma Mildred è lì, come un cane da guardia li tiene sotto controllo e brandendo l’estintore preso in macchina si lancia come un guerriero all’assalto del fuoco.
Una scena epica, lei che sale con la scala sul terzo cartellone che brucia per attaccare il fuoco dall’alto, poco manca che non bruci anche lei come le streghe di inalterata memoria.
McDonagh dosa lo sviluppo della storia tenendo alta l’attesa e non risparmiando colpi di scena e inversioni di tendenza, e così il cattivo può anche scoprire il suo lato umano, la scorza dura di una donna troppo provata dalla vita può ammorbidirsi e mostrare una fragilità nascosta solo per sopravvivere, le strade imboccate dal volgere degli eventi possono spiazzare e si può anche ridere dove sembrerebbe ci sia solo da piangere.
Un cast eccezionale è l’arma vincente di questo film, attori su cui McDonagh punta molto perché la trama finissima e cangiante su cui disegna fatti e personaggi esprima tutto il suo spessore, e i toni da dark comedy arrabbiata convivono senza stridere con lo sfondo autenticamente tragico, la violenza più insostenibile è quella sotto traccia mentre si arriva perfino a godere di certe sue esplosioni reali, a tratti sembra un corteo carnascialesco con le maschere guidate dalla Morte, in altri momenti è un doloroso piegarsi su sé stessi strafatti dal male di vivere.
Chi tiene saldamente in pugno la situazione, riportando sempre tutto su questa terra dove gli opposti finiscono per attrarsi senza che nessuno si meravigli è lei, la straordinaria Frances McDormand, un’ attrice che dove passa lascia il segno, compreso il red carpet su cui si è presentata senza troppi fronzoli, come il suo personaggio, bypassando felicemente lustrini e cotillon.
Prevedibili anche i fischi, considerata la fauna che bivacca dall’alba a notte fonda davanti al Palazzo del Cinema per catturare selfies con bambole e superdivi di passaggio.
Lei, maschiaccio imprevedibile, ha risposto con il gesto giusto.
Brava Mildred, sei tutte noi!
www.paoladigiuseppe.it
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