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Regia di Andres Muschietti vedi scheda film

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La recensione su It

di supadany
6 stelle

Trasportare l’oro dalla carta alla pellicola è un’operazione per pochi eletti. Questa riedizione ha lo sguardo lungimirante, ma finisce per produrre più quantità che qualità. Una girandola che vuole soddisfare tutti senza esaltare nessuno, destinata al consumo istantaneo, ripetendo (bene) senza inventare nulla. Evidentemente, tanto basta.

L’attualità può presentare dei crocevia inattesi. Se la bibliografia di Stephen King continua a essere saccheggiata dall’universo audiovisivo, i risultati generati sono tra i più disparati, così che, negli ultimi mesi, La torre nera è stato un fallimento su tutti i fronti sondabili, mentre It ha frantumato ogni tipo di record. In più, Mr Mercedes è il controcanto seriale e su Netflix approdano ben due titoli nello stesso mese: Il gioco di Gerald e 1922.

Senza dubbio, It è l’operazione più oculata del plotone, almeno nella pianificazione delle intenzioni, che sanno esattamente quali fili annodare, intercettando vari segmenti di pubblico, ma tenere tutto insieme comporta un prezzo da pagare. Infatti, rievocando un periodo esplicito e una produzione filmica assorta a cult, è derivativo, ma soprattutto non tiene testa agli archetipi che richiama a gran voce.

Derry, ottobre 1988. Durante un violento acquazzone, il piccolo George (Jackson Robert Scott) scompare nel nulla, attirato nell’oscurità da Pennywise (Bill Skarsgard), una creatura maligna presentatasi nella forma di un clown.

Nel giugno dell’anno seguente, un gruppo di ragazzini, tra cui Bill (Jaeden Lieberher) – il fratello maggiore di George -, lo spavaldo Richard (Finn Wolfhard) e l’ambita Beverly Marsh (Sophia Lillis), decide di indagare sulle sparizioni misteriose che hanno colpito la loro comunità, anche per fuggire dalle persecuzioni subite da un gruppo di bulli.

La loro ricerca li porta al cospetto proprio di Pennywise, che non ha perso tempo, manifestandosi anticipatamente a ognuno di loro, sfidandoli apertamente.

 

Bill Skarsgård

It (2017): Bill Skarsgård

 

Sceneggiato, tra gli altri, da Cary Fukunaga (True detective), la versione cinematografica di It arriva ventisette anni dopo l’omonimo tv movie che, pur avendo diviso sul piano dei consensi, aveva creato parecchi incubi al pubblico televisivo.

Anche per la sua natura soprannaturale, ma soprattutto per dei valori produttivi differenti, si è rifatto il look, seguendo anche la moda di questi anni, che segna il ritorno in auge di tutto ciò che è targato anni ottanta e che vede nella serie televisiva Stranger things uno dei principali oggetti di venerazione cinefila.

Così, cala l’asso, e poi il resto del mazzo, sulla fase dell’infanzia, quella spensieratezza che consente di vedere qualsiasi cosa senza i fardelli dell’esperienza e di opportune valutazioni del rischio, con il conseguente passaggio al gradino superiore e la necessità di acquisire una nuova consapevolezza, per affrontare le paure che paralizzano sul posto, con la naturale perdita dell’innocenza.

Il dispositivo guidato da Andrés Muschietti, che già con il primo lungometraggio - La madre - aveva lasciato intendere di essere interessato ad altro oltre all’horror, sa azionare le leve necessarie, ma non riesce quasi mai a usarle nella loro completezza, incapace di uscire da un complessivo senso di schematismo.  

Sfarina elementi nel sentiero delle hit di tema e periodo, presentando analogie consistenti con I Goonies e Stand by me, crea (il solito e conclamato) gruppo eterogeneo di ragazzini, inserisce l’elemento scardinante, l’unica presenza femminile, e sviluppa uno spirito di cameratismo per poi portarlo al cospetto degli incubi che avvicinano sensibilmente alla morte, come tanto cinema ha introiettato dalle notti insonni di Nightmare.

Questo spirito prossimo all’avventura, tremendamente caro a chi quegli anni li ha vissuti da decenne, acquisisce troppo campo per favorire l’intensità degli inserimenti del terrore, almeno fino all’approdo nella casa dell’orrore, luogo principale dell’ultima fase.

 

Jaeden Lieberher, Jeremy Ray Taylor, Finn Wolfhard, Sophia Lillis, Jack Dylan Glazer, Wyatt Oleff, Chosen Jacobs

It (2017): Jaeden Lieberher, Jeremy Ray Taylor, Finn Wolfhard, Sophia Lillis, Jack Dylan Glazer, Wyatt Oleff, Chosen Jacobs

 

In generale, non lesina in fatto di sangue versato, o schizzato che sia, produce alcuni jumpscare che l’horror medio di oggi fatica a contemplare e riprende paure recondite, con una maschera – quella di Pennywise – più feroce dell’originale, ma in quel caso Tim Curry aveva uno spazio maggiore di movimento, ampiamente sfruttato per sedimentarsi nel subconscio, mentre Bill Skarsgard è un corpo più modellato, un contenitore da movimentare come una marionetta impazzita. Al contempo, il resto del cast non ritrova gli acuti degli anni migliori (I Goonies), ma il paragone è deficitario anche al cospetto di episodi paritetici più recenti (Super 8). Comunque sia, alcuni giovani elementi sono più evidenti degli altri. Sophia Lillis è dotata di uno sguardo che buca l’obiettivo, Jaeden Lieberher ha dalla sua l’esperienza (St. Vincent, Midnight special) e Finn Wolfhard, condiviso con il successo Stranger things, è presente in un ruolo fin troppo smaliziato, ma pur sempre funzionale alla visione d’insieme, che ricerca spaventi, ma vuole anche coccolare con note più leggere e un linguaggio colorito maggiormente prossimo agli adolescenti di oggi, quella frangia di pubblico che decreta più di qualsiasi altra i successi al botteghino.  

Un equilibrio che lungo lo sviluppo fatica a far quadrare i conti, pur funzionando ragionevolmente su entrambi i fronti, per un’esecuzione dagli orizzonti lapalissiani e pianificati, perfetta per un pubblico medio, che del pelo nell’uovo non sa cosa farsene, e per chi è in vena di nostalgia, ma meno suadente nei confronti di chi ha riferimenti ben chiari: la storia non si riscrive, si ripete sotto infinite vesti, riadattando il vestito in funzione delle richieste del momento che, evidentemente, oggi non sono poi così esigenti.

Epidermico per come si rende accessibile e compiaciuto per la scaltrezza che utilizza per arrivare in meta, assolutamente potabile nel suo fluire, ma la qualità delle sorsate rimane intermittente.   

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